Forum Sardegna - Il nuovo libro di G. Sanna e la scrittura Nuragica
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Nota Bene: In alcuni paesi dell'OGLIASTRA , in un passato non tanto lontano, si confezionava e mangiava un raro PANE DI GHIANDE.
Le ghiande, opportunamente tostate e macinate, erano mescolate con argille, che ne moderavano l'acidità ed il sapore allappante. Questo tipo di pane viene collegato da alcuni studiosi a riti magico-propiziatori che prevedevano la "geofagia", ovvero l'ingerimento di terra, ma e' stato probabilmente conservato anche per l'atavica penuria alimentare che affliggeva i poveri delle popolazioni dell'Interno.



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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 28/11/2009 : 09:04:55  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
e tutte quete verifiche possono avvenire con metodo scientifico? come si fa a d es. a stabilire se il coccio fu inciso appena dopo esser stato cotto?








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Freddie Mercury - In My Defence
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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 28/11/2009 : 18:38:16  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
"Sono ormai parecchi gli amici e conoscenti, sardi e anche forestieri, che mi hanno chiesto o mi stanno chiedendo, a voce o per iscritto, il mio parere riguardo alle scoperte – vere o presunte – di iscrizioni antiche che si starebbero effettuando in Sardegna e riguardo alle loro interpretazioni. Mi sento pertanto in dovere di esprimere oggi pubblicamente il mio meditato parere sull’argomento, precisando però che intendo condurre un discorso generale sulla «epigrafia» o “scienza ed arte della interpretazione delle iscrizioni”; discorso generale che deliberatamente vuole prescindere dai casi specifici che si sono verificati di recente in Sardegna e che hanno aperto numerose e anche vivaci discussioni.
Il mio pertanto è un discorso condotto molto più sui “principi metodologici” generali e molto meno sui “fatti od eventi reali”. Ho deciso di assumere questo atteggiamento per una precisa ragione: in alcuni casi sono stati coinvolti alcuni miei conoscenti e amici, per i quali sento lo stretto dovere di non affermare alcunché che possa mettere in dubbio la loro preparazione scientifica e la loro probità professionale, che anzi anche io intendo qui affermare e sottolineare.
Orbene, in base agli insegnamenti che mi sono stati dati già durante i miei studi universitari e in base a una mia pratica della materia epigrafica che va avanti ormai da una trentina d’anni, io sono convinto che siano queste seguenti le condizioni necessarie e sufficienti perché una interpretazione epigrafica abbia i caratteri della scientificità:
1) In via preliminare e di fatto, dopo mie ricerche che sono andate avanti per circa 30 anni, ho acquisito la ferma convinzione che si debba escludere assolutamente che i Nuragici o Protosardi si siano inventati un loro specifico “alfabeto nazionale”. Lo escludo per la ragione che neppure quei popoli geniali e civili che sono stati i Greci, gli Etruschi e i Romani si sono inventati un loro specifico “alfabeto nazionale greco”, “alfabeto nazionale etrusco” e “alfabeto nazionale romano o latino”, dato che tutti gli specialisti sanno che i Greci hanno derivato il loro alfabeto da quello dei Fenici, gli Etruschi lo hanno derivato da quello dei Greci e i Romani lo hanno derivato da quello degli Etruschi. E nemmeno i Fenici si sono creati ex-novo il loro “alfabeto fenicio”, dato che anch’essi lo hanno derivato da altri popoli del Medio Oriente, attraverso procedimenti che non sono stati ancora chiariti del tutto.
Si deve considerare con attenzione che l’”alfabeto” o la “scrittura” è una delle più difficili invenzioni che l’uomo sia riuscito a effettuare, tanto lunga, laboriosa e difficile che nessun singolo uomo o singolo popolo o nessuna singola generazione se ne può attribuire il merito esclusivo. In realtà a questa lunga e difficile invenzione hanno partecipato molti popoli e molte generazioni di uomini.
Sembra ormai accertato che la invenzione autonoma e indipendente dell’”alfabeto” sia avvenuta solamente in tre aree geografiche della terra: la Mezzaluna Verde medio-orientale (tra la Mesopotamia e l’Egitto), la Cina sud-orientale, l’America centro-meridionale. Tutti i popoli che hanno in seguito conosciuto l’alfabeto, in effetti lo hanno derivato appunto dall’alfabeto di una di quelle tre aree geografiche.
E dunque, a mio fermo giudizio, neppure i Nuragici o Protosardi si sono inventati un loro “alfabeto nazionale nuragico”, bensì sono dovuti ricorrere per le loro esigenze di scrittura ad alfabeti già noti e funzionanti, cioè forse all’“alfabeto fenicio”, certamente all’“alfabeto greco” e certamente all’“alfabeto latino” (cfr. M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius 2007, § 24; M. Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama, I Appendice, Sassari, 2009 II ediz. ampliata e migliorata).
Pertanto quelle che di recente sono state presentate e giudicate come lettere dell’”alfabeto nuragico”, a mio giudizio, o non sono altro che segni ornamentali o decorativi di oggetti in metallo o in terracotta (come dimostra anche la loro posizione di perfetta “simmetria bilaterale”), oppure sono lettere di altri alfabeti realmente documentati, ma dei quali si ha l’obbligo preciso di dare una vera e propria dimostrazione scientifica.
2) Quando un epigrafista in una antica iscrizione rinvenuta si trova di fronte ad accertati segni grafici o grafemi di un alfabeto già conosciuto, suo primo dovere è quello di convertire quei grafemi in altrettanti fonemi, facendo uso dell’”Alfabeto Fonetico Internazionale” o almeno dell’alfabeto latino arricchito con i noti gruppi grafici ch, ph, th.
3) L’epigrafista poi deve procedere a effettuare e indicare i “rappruppamenti grafematici” che si susseguono nella iscrizione, per convertirli dopo in “raggruppamenti fonematici” che determinano i corrispondenti “vocaboli”. In tutte le lingue, appartenenti a qualsiasi famiglia linguistica, si parla infatti con “vocaboli” e non con singoli “fonemi”. Questa operazione l’epigrafista deve fare per indicare come venivano effettivamente pronunziati quei “raggrupamenti grafo-fonematici” riscontrati nell’iscrizione antica.
4) L’epigrafista dopo deve passare dal “raggruppamento grafo-fonematico” di ciascun vocabolo al suo “valore semantico”, ossia deve indicare il suo effettivo “significato”.
5) L’epigrafista poi deve dimostrare la connessione concettuale e la compatibilità logica del significato di tutti o almeno di una parte dei vocaboli presenti nell’iscrizione.
6) L’epigrafista deve poi dimostrare la connessione linguistica tra i vocaboli dell’iscrizione interpretata con la fonetica, il lessico e la grammatica della lingua nella quale egli ritiene che sia scritta l’iscrizione stessa. Nel caso specifico, se un epigrafista ritiene che una iscrizione da lui trovata, interpretata e tradotta sia scritta nella lingua nuragica o protosarda, allora deve fare preciso riferimento a quanto gli specialisti hanno scritto su di essa da un’ottantina di anni in qua. La lingua nuragica o protosarda infatti non è affatto tutta un “mistero”, visto che su di essa una dozzina di linguisti di professione abbiamo già scritto numerosi articoli e perfino libri interi. E non si tratta di citare semplicemente i nomi di questi linguisti, ma si tratta di citare soprattutto gli appellativi, i toponimi e i fenomeni fonetici e quelli morfo-sintattici che essi hanno ormai da tempo individuato, studiato ed esposto.
Tutto questo perché la lingua nuragica o protosarda non è un “mistero” totale e pertanto essa non ha necessità di uno scopritore primo ed iniziale, come lo è stato Jean François Champollion per l’antica lingua egizia.
7) La invenzione dell’”alfabeto” o della “scrittura” era stata così laboriosa, difficile e lunga che solamente il ceto sacerdotale dappertutto ne aveva la conoscenza e il possesso ed anche per questo alla “scrittura” si attribuiva pure un carattere magico-sacrale, che in quanto tale, non poteva né doveva essere adoperata da chiunque e in qualunque modo, tanto meno nella modalità del gioco o dello scherzo. Tutto questo è tanto vero che le grandi religioni sono state presentate dai rispettivi popoli sempre codificate in “libri sacri” tramandati di generazione in generazione ed inoltre “immutabili”.
Per questa precisa ragione si deve respingere ogni tentativo di leggere e interpretare una iscrizione antica leggendola da sinistra a destra e pure al contrario, da destra a sinistra: giochi pseudografici e pseudolinguistici di questo genere si trovano solamente nelle riviste odierne di enigmistica, mentre non si ritrovano nelle isrizioni antiche, soprattutto in quelle “pubbliche” e in quelle “monumentali”. Fra le 300 mila iscrizioni latine, destrorse, del Corpus inscriptionum latinarum e le 11 mila, sinistrorse, del Corpus inscriptionum etruscarum, io sfido chiunche a trovarne una sola che si possa leggere anche al contrario, da sinistra a destra e da destra a sinistra.
8) L’epigrafista deve rendere conto della connessione e della compatibilità della iscrizione col supporto materiale in cui risulta incisa o scolpita: un vaso, un’anfora, una tomba, un cippo funerario, una statuetta, il frontone di un tempio ecc. Sarebbe infatti certamente errata l’interpretazione di una iscrizione sepolcrale, la quale recitasse in questo modo: «Cantano giulivi gli uccellini a primavera»; oppure in una coppa vinaria per convivi la traduzione dicesse «La vedova sconsolata piange il marito prematuramente scomparso».
Si chiama, questa, “contestualità pragmatica”, che nell’Università di Firenze Giacomo Devoto mi insegnò con questa semplice affermazione: «il primo e principale indizio per la traduzione di una iscrizione viene dall’oggetto o cosa in cui essa risulta scolpita o incisa».
Per questa precisa ragione, in un ipotetico caso specifico, un epigrafista avrebbe il dovere di rendere anche conto e ragione del fatto che alcune iscrizioni siano state incise su semplici ciottoli, posto che, per il riconosciuto valore magico-sacrale della scrittura, gli antichi evitavano con la massima cura di usarla per semplice gioco o scherzo. E ancora dovrebbe rendere conto e ragione del fatto che esse possano essere state rinvenute tutte assieme.
9) Sempre per il suo carattere e valore magico-sacrale ciascun alfabeto era un sistema del tutto rigido, che gli utenti rispettavano in maniera assoluta. E questo avveniva pure quando un certo popolo adottava un alfabeto straniero, come avvenne per gli Etruschi, i quali adottarono l’alfabeto greco, rispettandolo in tutto e per tutto (come risulta dai loro alfabetari), comprese le lettere beta e delta che essi non scrivevano né pronunziavano mai.
Sempre per questa ragione della rigidità di ogni alfabeto non è legittimo per un epigrafista, nel tentativo di interpretare e tradurre una epigrafe antica, chiamare in causa contemporaneamente due o più differenti alfabeti antichi. Sarebbe come se l’utente di un computer odierno si illudesse di passare con tutta facilità e continuamente da un sistema operativo ad un altro differente.
In linea di fatto si è constatato che per spiegare alcune supposte iscrizioni nuragiche sono stati adoperati contemporaneamente più alfabeti differenti. Ed è anche del tutto inverosimile che in Sardegna siano arrivati tanto numerosi e tanto differenti alfabeti di altre aree geografiche.
10) L’epigrafia è un ramo delle discipline umanistiche che richiede una molto stretta e approfondita preparazione specialistica (del tutto differente, ad es. dalla specializzazione in un ramo della biologia), con conoscenze numerose e approfondite relative alla lingua, alla storia e alla archeologia del relativo popolo antico. Ma tutto questo non si può avere contemporaneamente in epigrafisti che pensino di passare con tutta facilità e continuamente da una lingua ad un’altra. In linea di fatto io dico di non aver mai conosciuto “epigrafisti-omnibus” di questa specie.

Ovviamente io non mi illudo che tutte e singole tesi da me esposte e sostenute in questo mio scritto siano accettate da tutti coloro che le leggeranno. Ebbene, si facciano avanti per contrastarle; parliamone senz’altro, ma parliamone con pacatezza e serenità e soprattutto con reciproco rispetto. Inoltre parliamone in maniera sintetica e non con lunghe dissertazioni, che soltanto pochissimi riuscirebbero a seguire. Io ho già avuto modo di scrivere che tra i linguisti è noto che una tesi tanto più è accettabile, quanto più breve è la sua dimostrazione, e viceversa, tanto meno è accettabile quanto più lunga è la sua dimostrazione".

Massimo Pittau, dal WebLog di GianfrancoPintore, parlando degli ultimi avvenimenti "epigrafici" di Sardegna.

Non usa toni aggressivi, ma dice proprio tutto, in modo piuttosto tagliente e definitivo.
Poi, ognuno la pensi come vuole: per me - in queste cose - resta un maestro.
MF









  Firma di maurizio feo 
Beni: ti naru unu contu...

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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 29/11/2009 : 10:20:25  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
anche io potrei citare G. Sanna o chi contesta Pittau. ma preferirei invece commentare e capire il confronto/scontro tra i due. Se assumo le posizioni di uno dei due per partito preso, o semplice autorevolezza, avverto che non capirò mai nulla: neppure il motivo per cui litighino.

Per esempio: sembra che sulla via da seguire per l'interpretazione della stele di Nora, i due, pur partendo da posizioni diversissime, siano concordi su almeno un fatto: i caratteri son fenici, ma la lingua no. Dice il Sanna, sulla base di vari documenti: di S.imbenia di Alghero, di Is Loccis Santus di S.Giovanni Suergiu, di Pallosu di S.Vero Milis, di San Pietro di Bosa, di Orani 1 e di Orani 2, di Pitzinnu di Abbasanta, di Aiga di Abbasanta, di Perdu Pes di Paulilatino, di Pirosu Su Benatzu di Santadi, del ‘nuraghetto’ de Su Cungiau de is Mongias di Uras, un repertorio dei segni protosinaitici, protocananei, ugaritici, ‘protocananei’ o fenici arcaici, che in Sardegna dominava un popolo orientale, la cui lingua era semitico-siriana, con qualche apporto indoeuropeo.

In sè questa tesi non mi pare per nulla stravagante. e non mi pare che i due autori divergano:
V'invito a leggere senza pregiudizi le seguenti affermazioni del Sanna:

Piaccia questo o non piaccia, caro Pittau, la scrittura nuragica riporta ampiamente dei grafemi - ormai sono centinaia e quasi tutti facilmente classificabili come segni alfabetici consonantici con suono certo - che sono precedenti all’anno Mille e che sono da ascriversi, in non pochi casi (v. il cosiddetto ‘brassard’ di Is Loccis Santus o il nuraghetto di Uras), ai secoli XIV -XIII a.C.
Quindi quando tu parti dal ‘fenicio’ (‘ovviamente’ riferendoti al secolo VIII o VII a.C.) commetti l’errore di ignorare tutti i documenti (resi da qualche anno pubblici) presenti già da sei o sette secoli prima. Come commetti l’errore di inserire nella caligine della lingua misteriosa (la lingua sardiana) - quella sfinge che il Wagner non è riuscito a vincere - due lingue che esistevano ed erano comuni (insieme a qualche altra come l’egiziano) nell’Isola, a partire almeno dall’alba della costruzione dei nuraghi o del medio bronzo: la semitica e la sarda-latina (non romana!).
Insisti invece su le tue poche e davvero ‘vecchie’, conoscenze documentarie che, tra l’altro, non ti illuminano per niente, tanto è vero che per nessuna di esse (tu latinista e grecista!) offri una traduzione o tenti, almeno, una qualche parziale decifrazione. Dal momento che tutte sono enigmatiche, tranne che per i caratteri alfabetici (fenici, etruschi, latini, greci: ma sull’identità di questi talvolta ci sarebbe da discutere a lungo), tu sostieni che sono nuragiche adducendo come ipotesi (e non come prova) che i nuragici si sono serviti via via degli alfabeti altrui senza mai usarne uno proprio.

http://gianfrancopintore.net/index....ia&Itemid=37









Modificato da - DedaloNur in data 29/11/2009 10:36:29

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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 29/11/2009 : 10:28:34  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
ed ecco cosa scrive il Pittau:


GLI SCIVOLONI DEI FENICIOMANI NOSTRANI
Sta montando la marea dei Sardi che manifestano la loro opposizione al cambio del nome del «Golfo di Oristano» in quello di «Golfo dei Fenici» e, più in generale, la loro opposizione alla “feniciomania” da cui si mostrano affetti alcuni cultori di storia della Sardegna antica. Questi vedono “Fenici” dappertutto, nei siti di antichi insediamenti, nei resti o reperti archeologici e anche nei toponimi dell’Isola.
Per il vero essi hanno scarsissima competenza e autorità ad interloquire in problemi di toponomastica sarda, posto che sono di prevalente, se non di esclusiva formazione “archeologica”. Pertanto le loro elucubrazioni toponomastiche sono nella massima parte dei casi del tutto prive di valore scientifico. Ad esempio, essi insistono nel ripetere che Tharros, Othoca e Cornus sono toponimi di “matrice fenicia”, nonostante che noi linguisti abbiamo detto e dimostrato che in realtà si tratta di “toponimi nuragici”. Essi poi sorvolano del tutto sul fatto di evidenza solare che il toponimo Neapolis nella riva meridionale del Golfo di Oristano è sicuramente una voce greca che significa «città nuova», per cui molto probabilmente indicava un insediamento greco, non uno fenicio. Altro esempio: traducono una iscrizione neopunica incisa nel manico di una brocca come «Questa brocca è caduta, ha versato il suo contenuto» (vedi catalogo della mostra fatta ad Oristano nel 1997 Phoinikes B Shrdn - I Fenici in Sardegna, pgg. 35, 48, fig. 64), non accorgendosi che una iscrizione di tale significato sarebbe una autentica irrazionalità: nessuno infatti scriverebbe una simile iscrizione su una brocca non caduta e quindi ancora intera e a maggior ragione su una brocca caduta e quindi frantumata, cioè su un suo frammento o coccio.
E tuttavia un cultore di storia antica della Sardegna ha il diritto-dovere di porsi il problema di quale sia l’esatta origine di questa “feniciomania” di codesti studiosi. Ebbene, a mio avviso, l’origine di questo strano fenomeno storico-culturale è la seguente.
Si deve innanzi tutto premettere che altri erano i “Fenici antichi od originari”, altri erano i “Fenici recenti”. I Fenici originari o – diciamo pure – i Fenici propriamente detti avevano la loro sede nella sponda orientale del Mediterraneo, suppergiù nella zona dell’odierno Libano. Essi acquistarono ben presto un notevole ruolo nel Mediterraneo orientale, soprattutto sul piano dei commerci, sia perché la loro sede, la Fenicia, risultava all’incrocio di tre continenti, l’Asia, l’Africa e l’Europa, sia perché, con le loro navi, essi sono stati a lungo al servizio dei Faraoni dell’Egitto, il quale per numerosi secoli è stato la sede della più avanzata e più ricca civiltà del mondo antico.
In virtù della grande esperienza acquisita di navigatori e di commercianti, i Fenici si lanciarono anche alla navigazione e al commercio in tutto il bacino del Mediterraneo, fondando numerosi scali od empori commerciali, in prevalenza lungo le coste settentrionali dell’Africa, ma anche in Sicilia e in Spagna e alcuni pure in Sardegna, accettati questi ultimi, controllati e probabilmente sottoposti a pedaggio da parte dei Sardi Nuragici.
Il più importante di questi stanziamenti fenici fu senza alcun dubbio Cartagine, fondata nei pressi dell’odierno Tunisi, sembra nell’814/813 a. C., in una posizione geografica centrale che dominava l’intero bacino del Mediterraneo.
Anche i Cartaginesi dunque erano di etnia fenicia, tanto è vero che l’altro loro nome – perfino più usato – di Punici in realtà non era altro che la trasformazione del nome dato loro dai Greci, Phóinikes = «Fenici».
I Cartaginesi o Punici diventarono così potenti da costituire l’avamposto e il centro più ricco e potente dell’intera etnia fenicia; tanto è vero che essi svolsero una politica imperialistica in tutto il bacino centro-occidentale del Mediterraneo, conquistando vasti domini, oltre che nell’Africa settentrionale, in Sicilia, in Sardegna e in Spagna e finendo con lo scontrarsi prima con l’elemento Greco in Sicilia e dopo con l’elemento Romano in occasione delle famose tre “guerre puniche”. Se Cartagine avesse vinto contro Roma la battaglia di Zama del 202 a. C., la storia di tutti i paesi del Mediterraneo avrebbe avuto un andamento del tutto differente. Ad esempio, attualmente in Sicilia, in Sardegna e in Spagna molto probabilmente parleremmo lingue neofenicie e non lingue neolatine.
Fenici e Punici o Cartaginesi sentivano fortemente la appartenenza alla loro comune etnia, soprattutto nei momenti di difficoltà e di pericolo. E per questo, quando i feniciomani nostrani sostengono, fra l’altro, che i primitivi insediamenti dei Fenici in Sardegna sono stati attaccati e distrutti dai Punici o Cartaginesi dicono una vera assurdità. Ma poi i Sardi Nuragici – abbiamo anche il diritto di chiederci - che cosa sarebbero stati a fare? Sarebbero stati semplici spettatori imbambolati, con l’anello al naso e la sveglia al collo, oppure avrebbero approfittato dell’occasione per cacciare a pedate dall’Isola sia i Fenici che i Punici?
Riassumendo: i Cartaginesi o Punici erano certamente di “etnia fenicia” e di “lingua fenicia”, che trascrivevano in “alfabeto fenicio”. Però, da questi fatti storici e linguistici del tutto indubitabili, non è affatto legittimo trarre la conclusione che, dunque, tutte e ciascuna delle iscrizioni fenicie rinvenute in Sardegna siano da attribuire ai “Fenici antichi od originari”, quelli che avevano la loro sede nel lontanissimo Libano e che in Sardegna erano riusciti a fondare alcuni semplici “scali commerciali” e non prima della seconda metà del secolo VIII a. C. È molto più ovvio, verosimile e probabile che quelle “iscrizioni fenicie” siano da attribuirsi ai Cartaginesi o Punici, che in Sardegna sono di certo riusciti ad imporre, quasi certamente solo dopo la battaglia di Imera del 480 a. C., un loro predominio politico, militare ed economico, anche - alla lunga - con una certa intesa e collaborazione coi Sardi Nuragici stessi.
Ma c’è un’altra importante considerazione da fare: non poche delle iscrizioni puniche rinvenute in Sardegna sono fino al presente prive di una traduzione ampiamente condivisa dagli specialisti semitisti; ragion per cui non è inverosimile che esse, pur scritte in alfabeto fenicio, in realtà portino in sé altrettanti messaggi in lingua nuragica. Su questo punto è significativa la famosa iscrizione fenicia di Nora (sec. IX-VIII a. C.), la quale finora è praticamente priva di traduzione e d’altra parte contiene il vocabolo SHRDN, il quale richiama chiaramente gli Sciardani, uno dei «Popoli del Mare», che a più riprese assalirono l’Egitto nei secoli XIV-XII a. C. e che molti studiosi hanno identificato coi Sardi o Sardiani.
Insomma, non è inverosimile che i Sardi Nuragici abbiano adottato l’alfabeto fenicio, ma per adoperarlo per trascrivere la loro lingua nuragica. Nello stesso modo in cui, in una carta medioevale ora conservata a Marsiglia, monaci sardi adottarono l’alfabeto greco-bizantino per trascrivere un loro messaggio in lingua sicuramente sarda.
Pertanto, forse un solo frammento epigrafico del secolo XI a. C. rinvenuto a Nora è da attribuirsi propriamente ai Fenici antichi od originari; tutte le altre iscrizioni in alfabeto fenicio rinvenute in Sardegna sono invece da attribuirsi ai Punici o Cartaginesi ed alcune probabilmente ai Sardi.
Venendo poi ai reperti archeologici “fenici” che sarebbero stati rinvenuti in varie località anche della Sardegna interna, come ci illustra, in maniera ridevole, una cartina del già citato catalogo della mostra di Oristano (pg. 10), da un lato essi risultano di epoca relativamente recente, potendo pertanto risalire ai Cartaginesi e non ai Fenici, dall’altro essi possono essere nient’altro che il frutto del semplice commercio.
Col ritenere che quei reperti archeologici siano la prova certa di altrettanti stanziamenti dei Fenici nelle zone interne e montuose della Sardegna, i nostri feniciomani in effetti trasformano i Fenici, da navigatori e commercianti che tutti conoscevamo, in veri e propri conquistatori e colonizzatori perfino delle zone di montagna.
Se noi adesso accettassimo la tesi che quei reperti archeologici indichino una forte presenza e colonizzazione dei Fenici in tutte le zone dell’Isola anche in quelle interne, sarebbe come se invitassimo i futuri archeologi dei secoli avvenire a ritenere e a scrivere che i resti delle numerose automobili e motociclette giapponesi, che di certo troveranno in tutte le parti dell’Isola, sono la prova certa ed evidente che in Sardegna, a cavallo fra il II ed il III millennio dopo Cristo, è avvenuta una massiccia invasione e conquista da parte dei cittadini del Sol Levante.

http://www.pittau.it/Sardo/feniciomania.html










Modificato da - DedaloNur in data 29/11/2009 10:30:16

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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 29/11/2009 : 10:34:58  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ora se usassimo la bilancia, invece che l'accetta per dividere torto e ragione, dovremmo riconoscere: che entrambi ipotizzano dei Sardo-nuragici letterati gia da molti secoli prima la datazione della stele di nora.
Sanna arriva a questo, citando i suoi documenti. Pittau, accetta questa ipotesi, quando parla di Shardana. Del resto lo stesso Sanna legge quei documenti utilizzando gli alfabeti delle zone della costa palestinese siriana, che tra gli altri popoli videro proprio le azioni degli shardana.
In cosa dunque i due divergono?









Modificato da - DedaloNur in data 29/11/2009 10:35:19

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antonio

Utente Normale


Inserito il - 29/11/2009 : 21:10:24  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di antonio Invia a antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
DedaloNur ha scritto:

Ora se usassimo la bilancia, invece che l'accetta per dividere torto e ragione, dovremmo riconoscere: che entrambi ipotizzano dei Sardo-nuragici letterati gia da molti secoli prima la datazione della stele di nora.
Sanna arriva a questo, citando i suoi documenti. Pittau, accetta questa ipotesi, quando parla di Shardana. Del resto lo stesso Sanna legge quei documenti utilizzando gli alfabeti delle zone della costa palestinese siriana, che tra gli altri popoli videro proprio le azioni degli shardana.
In cosa dunque i due divergono?


da quello che riesco a capire, da vero profano, Pittau accetta che la
lingua preromana venisse scritta utilizzando caratteri fenici ( o comunque punici)
ma solo nell'età del ferro (per l'influenza fenicia e cartaginese) e non
vede l'utilizzo della scrittura nelle epoche precedenti.

Sanna al contrario anticipa all'età del bronzo la scrittura di una lingua
(correttamente ipotizza che ce ne fosse più di una) nuragica utilizzando
i caratteri protosinaitici disponibili già dal XV secolo.

Come siano giunti in Sardegna lo si può intuire, ed insieme ad essi sarà
giunta anche una lingua semitica.
Questi caratteri originali (fortemente pittografici) si sono poi evoluti nei
secoli successivi nell'area palestinese giungendo ad una progressiva
astrazione per adeguamento alla religione monoteista; in Sardegna
potrebbe essere successa la stessa cosa, sia per evoluzione culturale sia per influssi esterni successivi. Sanna sostiene infatti che i nuragici
avessero un dio Yaku che altri non era che YHWH.
Quando Pittau accusa Sanna di essersi inventato un ‘alfabeto nuragico
nazionale’ forse si riferisce a queste ultime considerazioni.









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gallosu

Utente Attivo


Inserito il - 30/11/2009 : 09:12:11  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di gallosu Invia a gallosu un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
7) La invenzione dell’”alfabeto” o della “scrittura” era stata così laboriosa, difficile e lunga che solamente il ceto sacerdotale dappertutto ne aveva la conoscenza e il possesso ed anche per questo alla “scrittura” si attribuiva pure un carattere magico-sacrale, che in quanto tale, non poteva né doveva essere adoperata da chiunque e in qualunque modo, tanto meno nella modalità del gioco o dello scherzo. Tutto questo è tanto vero che le grandi religioni sono state presentate dai rispettivi popoli sempre codificate in “libri sacri” tramandati di generazione in generazione ed inoltre “immutabili”.
Per questa precisa ragione si deve respingere ogni tentativo di leggere e interpretare una iscrizione antica leggendola da sinistra a destra e pure al contrario, da destra a sinistra: giochi pseudografici e pseudolinguistici di questo genere si trovano solamente nelle riviste odierne di enigmistica, mentre non si ritrovano nelle isrizioni antiche, soprattutto in quelle “pubbliche” e in quelle “monumentali”. Fra le 300 mila iscrizioni latine, destrorse, del Corpus inscriptionum latinarum e le 11 mila, sinistrorse, del Corpus inscriptionum etruscarum, io sfido chiunche a trovarne una sola che si possa leggere anche al contrario, da sinistra a destra e da destra a sinistra.

Delle ipotesi di Sanna quello che mi torna strano è questo:

9) Sempre per il suo carattere e valore magico-sacrale ciascun alfabeto era un sistema del tutto rigido, che gli utenti rispettavano in maniera assoluta. E questo avveniva pure quando un certo popolo adottava un alfabeto straniero, come avvenne per gli Etruschi, i quali adottarono l’alfabeto greco, rispettandolo in tutto e per tutto (come risulta dai loro alfabetari), comprese le lettere beta e delta che essi non scrivevano né pronunziavano mai.
Sempre per questa ragione della rigidità di ogni alfabeto non è legittimo per un epigrafista, nel tentativo di interpretare e tradurre una epigrafe antica, chiamare in causa contemporaneamente due o più differenti alfabeti antichi. Sarebbe come se l’utente di un computer odierno si illudesse di passare con tutta facilità e continuamente da un sistema operativo ad un altro differente.
In linea di fatto si è constatato che per spiegare alcune supposte iscrizioni nuragiche sono stati adoperati contemporaneamente più alfabeti differenti. Ed è anche del tutto inverosimile che in Sardegna siano arrivati tanto numerosi e tanto differenti alfabeti di altre aree geografiche.









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DedaloNur
Salottino
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antonio ha scritto: da quello che riesco a capire, da vero profano, Pittau accetta che la lingua preromana venisse scritta utilizzando caratteri fenici ( o comunque punici) ma solo nell'età del ferro (per l'influenza fenicia e cartaginese) e non vede l'utilizzo della scrittura nelle epoche precedenti.

Sanna al contrario anticipa all'età del bronzo la scrittura di una lingua (correttamente ipotizza che ce ne fosse più di una) nuragica utilizzando i caratteri protosinaitici disponibili già dal XV secolo.

ri-quoto il precedente passo di Pittau per sottolineare come il problema non sia di tipo cronologico:
Ma c’è un’altra importante considerazione da fare: non poche delle iscrizioni puniche rinvenute in Sardegna sono fino al presente prive di una traduzione ampiamente condivisa dagli specialisti semitisti; ragion per cui non è inverosimile che esse, pur scritte in alfabeto fenicio, in realtà portino in sé altrettanti messaggi in lingua nuragica. Su questo punto è significativa la famosa iscrizione fenicia di Nora (sec. IX-VIII a. C.), la quale finora è praticamente priva di traduzione e d’altra parte contiene il vocabolo SHRDN, il quale richiama chiaramente gli Sciardani, uno dei «Popoli del Mare», che a più riprese assalirono l’Egitto nei secoli XIV-XII a. C. e che molti studiosi hanno identificato coi Sardi o Sardiani.
Insomma, non è inverosimile che i Sardi Nuragici abbiano adottato l’alfabeto fenicio, ma per adoperarlo per trascrivere la loro lingua nuragica. Nello stesso modo in cui, in una carta medioevale ora conservata a Marsiglia, monaci sardi adottarono l’alfabeto greco-bizantino per trascrivere un loro messaggio in lingua sicuramente sarda.
Pertanto, forse un solo frammento epigrafico del secolo XI a. C. rinvenuto a Nora è da attribuirsi propriamente ai Fenici antichi od originari; tutte le altre iscrizioni in alfabeto fenicio rinvenute in Sardegna sono invece da attribuirsi ai Punici o Cartaginesi ed alcune probabilmente ai Sardi.










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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 30/11/2009 : 21:01:13  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Sono d'accordo con gallosu.
Nessun popolo antico ha mai parlato così tante lingue contemporaneamente insieme come qualcuno vorrebbe.
E' esistita una "lingua franca", parlata e scritta per scopi pratici e commerciali anche dopo che il popolo che l'aveva inventata non esisteva praticamente più. Ma si tratta di fenomeni differenti e molto sottodimensionati (cioé molto più "reali") rispetto a certe fantasie e voli.
Ma - ripeto - ognuno è senz'altro libero di credere ciò che più gli piace, come abbiamo più volte dovuto ammettere in questo Forum...
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Trambuccone
Salottino
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Inserito il - 30/11/2009 : 21:26:00  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Trambuccone Invia a Trambuccone un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
e tutte quete verifiche possono avvenire con metodo scientifico? come si fa a d es. a stabilire se il coccio fu inciso appena dopo esser stato cotto?


Sì, sinteticamente : incisione = segno profondo fatto quando l'argilla è asciutta, ancora plastica, ma non cotta. Graffito= segno poco profondo fatto su argilla cotta già dura. Il coccio di Orani, anche se le foto fanno abbastanza pena, mi pare inciso prima della cottura.....Ora arriva Alfonso e mi mazzula.........
T.









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robur.q

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maurizio feo ha scritto:

Sono d'accordo con gallosu.
Nessun popolo antico ha mai parlato così tante lingue contemporaneamente insieme come qualcuno vorrebbe.
E' esistita una "lingua franca", parlata e scritta per scopi pratici e commerciali anche dopo che il popolo che l'aveva inventata non esisteva praticamente più. Ma si tratta di fenomeni differenti e molto sottodimensionati (cioé molto più "reali") rispetto a certe fantasie e voli.
Ma - ripeto - ognuno è senz'altro libero di credere ciò che più gli piace, come abbiamo più volte dovuto ammettere in questo Forum...
MF


niente è impossibile Maurizio, magari si può dire che è...... altamente improbabile
io ho rispetto per i voli, il progresso della conoscenza si basa sulla fantasia dei ricercatori;
basta solo essere consapevoli che sono voli, e che i voli, per diventare scienza, devono essere supportati da prove o indizi (al di là di ogni ragionevole dubbio) e da onestà intellettuale.
Conosco un poco Massimo Pittau, è uomo sanguigno e talvolta le spara grosse, ma è uno che riconosce facilmente le sue errate valutazioni se messo davanti a nuove informazioni.








Modificato da - robur.q in data 30/11/2009 21:29:45

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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 01/12/2009 : 10:13:39  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
maurizio feo ha scritto:

Sono d'accordo con gallosu.
Nessun popolo antico ha mai parlato così tante lingue contemporaneamente insieme come qualcuno vorrebbe.
E' esistita una "lingua franca", parlata e scritta per scopi pratici e commerciali anche dopo che il popolo che l'aveva inventata non esisteva praticamente più. Ma si tratta di fenomeni differenti e molto sottodimensionati (cioé molto più "reali") rispetto a certe fantasie e voli.

capisco che si voglia liquidare in fretta il problema ma la realtà è più complicata. ad es. ad Ugarit:

Gli scavi di Ugarit misero in luce diversi archivi di tavolette di argilla (uno di palazzo, uno templare e due privati) , con testi diplomatici, legali, economici, amministrativi, scolastici, letterari e religiosi e datati all'ultima fase di vita della città, intorno al 1200 a.C., quando venne distrutta dalle scorrerie dei popoli del mare.
Un altro archivio, in parte disperso sul mercato nero, fu rinvenuto nel 1958: le tavolette superstiti sono attualmente conservate a Claremont (California) negli Stati Uniti, presso l'Istituto di Antichità e Cristianesimo ("Institute for Antiquity and Christianity") della Scuola teologica di Claremont (Claremont School of Theology) e sono state pubblicate da Loren R. Fisher nel 1971.
Ancora altri archivi furono riportati alla luce nel 1973 nel corso di scavi di emergenza (120 tavolette) e nel 1994 (300 tavolette rinvenute in un vasto edificio che fu utilizzato negli ultimi anni della vita della città).
La maggior parte di queste tavolette sono scritte in quattro lingue: sumerico, accadico (il linguaggio della diplomazia nel Vicino Oriente antico), urrita e infine ugaritico (lingua, quest'ultima, del tutto sconosciuta fino al momento della scoperta degli archivi). Si sono rinvenute tavolette scritte in alfabeto geroglifico egiziano e ittita e in alfabeto cuneiforme cipriota, sumerico, accadico, urrita e ugaritico.

per velocizzare è una citazione di wikipedia ma è correttissima..

poi esemplare è la lingua e la documentazione Hurrita, conosciuta con vari sistemi di scrittura:

E’ appunto il sito dell’antica capitale ittita Hattusha (Boghazköy) che ha restituito, nel corso di diecine d’anni di scavo, il maggior numero di testi scritti in questa lingua “asiana”. Se i primi ritrovamenti di Boghazköy datano dall’inizio del secolo, nel 1906, fu più tardi, a partire dal 1929, che documenti della stessa lingua fecero la loro apparizione - sulla costa del Mediterraneo orientale - fra i testi di Ugarit, in scrittura sillabica e in ductus medio-babilonese, ma anche nella originale scrittura alfabetica (consonantica) propria di questa civiltà, e - in numero molto scarso - a Mari sull’Eufrate, in Siria. I testi provenienti dal palazzo reale di Mari (fig. 2) dovevano fornire agli studiosi una testimonianza ancora più antica di questa lingua e dei suoi parlanti, che risale al periodo paleobabilonese (XVIII-XVI sec. a.C.), e più precisamente all’epoca di Zimrilim di Mari e Hammurabi di Babilonia (XVIII sec.). Negli anni ‘30 e ‘40 di questo secolo divenne ormai chiaro che questa lingua aveva avuto una grande diffusione in tutto il Vicino Oriente durante il II millennio a.C. Ben presto si doveva scoprire che i documenti più antichi risalivano addirittura al III millennio. Lo doveva mostrare il rinvenimento casuale in Siria settentrionale di un importante testo in lingua hurrica. Si tratta del documento di fondazione di un certo Tishatal, sovrano della città-stato di Urkesh, verso la fine del III millennio.


Quanto allo sviluppo ed alla posizione della hurritologia nel quadro delle discipline vicino-orientali va detto che essa non ha mai avuto uno statuto indipendente, poiché è stata dall’inizio un’ancella dell’Assiriologia, in seguito anche dell’Ittitologia. Questa situazione non cambierà molto presto, e la ragione risiede nella storia stessa di questi studi e nella situazione documentaria. Non si è infatti trovato fino ad oggi un sito archeologico che abbia restituito un archivio esclusivamente hurrito, o nel quale i documenti in lingua hurrica costituiscano la stragrande maggioranza, come è invece la situazione della lingua ittita a Boghazköy/Hattusha. Il fatto è che i Hurriti stessi scelsero durante tutta la loro storia la via dell’integrazione e dell’assimilazione culturale nelle società e nei luoghi che di volta in volta abitarono.
Per questa ragione è tra l’altro estremamente difficile isolare una cultura materiale loro propria, distinta da quella di altri popoli. Se però ci si libera dal pregiudizio di un rapporto stretto fra elemento etnico e produzione artistica o artigianale, e si ragiona in termini diversi, sostituendo al concetto di ethnos l’analisi dell’organizzazione politica e sociale, il problema resta quello di investigare la civiltà materiale dei periodi, delle formazioni statali (Nuzi, Mittanni) e dei singoli centri alla cui vita hanno partecipato genti parlanti hurrico.


Noi Sardi tra l'altro, oggi parliamo oltre all'Italiano (lingua ufficiale), e all'inglese (lingua diplomatica-commerciale) il Sardo, lingua nazionale o etnica...e siamo gia a 3

Sempre per il suo carattere e valore magico-sacrale ciascun alfabeto era un sistema del tutto rigido, che gli utenti rispettavano in maniera assoluta. E questo avveniva pure quando un certo popolo adottava un alfabeto straniero, come avvenne per gli Etruschi, i quali adottarono l’alfabeto greco, rispettandolo in tutto e per tutto (come risulta dai loro alfabetari), comprese le lettere beta e delta che essi non scrivevano né pronunziavano mai.

Io allora gradirei sapere come mai i greci osarono introdurre le vocali nell'alfabeto fenicio. Secondo quanto sta scritto sopra tutto dovrebbe essere immutabile. ma così non è. e neppure la sensibilità religiosa è sempre la stessa dovunque si vada: rigida e formale in vari gradi e sfumature.









Modificato da - DedaloNur in data 01/12/2009 10:19:47

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antonio

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Inserito il - 01/12/2009 : 11:17:11  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di antonio Invia a antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
7) La invenzione dell’”alfabeto” o della “scrittura” era stata così laboriosa, difficile e lunga che solamente il ceto sacerdotale dappertutto ne aveva la conoscenza e il possesso ed anche per questo alla “scrittura” si attribuiva pure un carattere magico-sacrale, che in quanto tale, non poteva né doveva essere adoperata da chiunque e in qualunque modo, tanto meno nella modalità del gioco o dello scherzo. Tutto questo è tanto vero che le grandi religioni sono state presentate dai rispettivi popoli sempre codificate in “libri sacri” tramandati di generazione in generazione ed inoltre “immutabili”.
Per questa precisa ragione si deve respingere ogni tentativo di leggere e interpretare una iscrizione antica leggendola da sinistra a destra e pure al contrario, da destra a sinistra: giochi pseudografici e pseudolinguistici di questo genere si trovano solamente nelle riviste odierne di enigmistica, mentre non si ritrovano nelle isrizioni antiche, soprattutto in quelle “pubbliche” e in quelle “monumentali”. Fra le 300 mila iscrizioni latine, destrorse, del Corpus inscriptionum latinarum e le 11 mila, sinistrorse, del Corpus inscriptionum etruscarum, io sfido chiunche a trovarne una sola che si possa leggere anche al contrario, da sinistra a destra e da destra a sinistra.


da
http://it.wikipedia.org/wiki/Bustrofedica



L'iscrizione del Lapis niger del Foro Romano (la più antica iscrizione latina rimasta) è scritta in uno stile bustrofedico irregolare: le righe 1, 3, 5, 7, 9, 11, 12, 14 e 16 vanno lette da destra a sinistra; 2, 4, 6, 8, 10, 13, e 15 da sinistra a destra; la 8, 9 e 16 sono addirittura invertite in verticale.











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robur.q

Utente Senior



Inserito il - 01/12/2009 : 12:28:09  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
antonio ha scritto:

7) La invenzione dell’”alfabeto” o della “scrittura” era stata così laboriosa, difficile e lunga che solamente il ceto sacerdotale dappertutto ne aveva la conoscenza e il possesso ed anche per questo alla “scrittura” si attribuiva pure un carattere magico-sacrale, che in quanto tale, non poteva né doveva essere adoperata da chiunque e in qualunque modo, tanto meno nella modalità del gioco o dello scherzo. Tutto questo è tanto vero che le grandi religioni sono state presentate dai rispettivi popoli sempre codificate in “libri sacri” tramandati di generazione in generazione ed inoltre “immutabili”.
Per questa precisa ragione si deve respingere ogni tentativo di leggere e interpretare una iscrizione antica leggendola da sinistra a destra e pure al contrario, da destra a sinistra: giochi pseudografici e pseudolinguistici di questo genere si trovano solamente nelle riviste odierne di enigmistica, mentre non si ritrovano nelle isrizioni antiche, soprattutto in quelle “pubbliche” e in quelle “monumentali”. Fra le 300 mila iscrizioni latine, destrorse, del Corpus inscriptionum latinarum e le 11 mila, sinistrorse, del Corpus inscriptionum etruscarum, io sfido chiunche a trovarne una sola che si possa leggere anche al contrario, da sinistra a destra e da destra a sinistra.


da
http://it.wikipedia.org/wiki/Bustrofedica



L'iscrizione del Lapis niger del Foro Romano (la più antica iscrizione latina rimasta) è scritta in uno stile bustrofedico irregolare: le righe 1, 3, 5, 7, 9, 11, 12, 14 e 16 vanno lette da destra a sinistra; 2, 4, 6, 8, 10, 13, e 15 da sinistra a destra; la 8, 9 e 16 sono addirittura invertite in verticale.





ahi Maurizio, questo di Antonio è un colpo basso
A completamento di quello che ha scritto Dedalo, bisogna precisare che in Sardegna abbiamo evidenza storica dell'uso di molte lingue, e non semplicemente in successione, ma contemporaneamente: abbiamo tracce di punico e latino sullo stesso testo, di greco bizantino e latino, di sardo, latino e pisano, di sardo, catalano e spagnolo, di sardo, italiano e spagnolo; il plurilinguismo non è una situazione rara, in particola modo in Sardegna!








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DedaloNur
Salottino
Utente Master



Inserito il - 01/12/2009 : 13:00:06  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di DedaloNur Invia a DedaloNur un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
appunto. ritorno ad osservare che una lingua semita con prestiti indoeuropei, non mi pare ne una fantasia ne un volo. ne una pura e semplice "pretesa di qualcuno". vorrei ricordare che lo stesso Pittau tranquillamente osserva che data la mancanza di una interpretazione unanime de la Stele di Nora, non è da escludere che essa sia in lingua nuragica, del tutto o anche solo in parte come l'iscrizione di Aido entos, doe compaiono, 2 termini senz'altro nuragici Nurac e Sessar, e uno senz'altro latino (IVR), poi un alro Ilii....beh fate voi! .

vorrei anche ricordare le iscrizioni pare, etrusche di un nuraghe. e i pittogrammi o simboli (anche qui fate voi...) di un pozzo sacro...ora non ricordo il nome.

però, la scritta di Aido entos, smentisce la "tesi" secondo cui, parlate diverse non possano appartenere ad un unico popolo, o che non possano far parte di un unico documento, perchè semplicemente esistono i prestiti linguistici. E perchè semplicmente eran varie le etnie che abitavano qui in Sardegna,
suggerirei di non prender sottogamba i bronzetti con vestiario siriano...

Oggi forse non siam soliti infarcire le frasi di termini inglesi, tedeschi, francesi o spagnoli?

Anzi forse sommessamente suggerisce, di deporre, la nostra moderna supponenza scientifica, e di non ripartire torti e pregi delle varie teorie con l'accetta.

meglio il bilancino di precisione...










Modificato da - DedaloNur in data 01/12/2009 13:03:59

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