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Nota Bene: Gonnosnò - è localizzato nella parte della Marmilla ai piedi dell'altopiano della Giara..Situato a m. 175 sul livello del mare si stende per 15,45 Km quadrati. Comprende la borgata di Figu, frazione di Gonnosnò
Il toponimo del paese pare derivi dall'unione dalla radice "gonnos" significante collina, con il termine "nò" genitivo di "nèos" significante "del tempio". Un'altra teoria ci porta alla conclusione che il nome Gonnosnò significa "colle nuovo".



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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Agresti Inserito il - 18/10/2007 : 15:34:50







L' agabbadora. La morte invocata

di Murineddu Giovanni

La morte invocata
Nell’antica tradizione sarda, la femina agabbadora è colei che pone fine alle sofferenze di un malato terminale, su richiesta sua o dei suoi familiari. Un atto pietoso, se si considerano le atroci sofferenze del moribondo, e, allo stesso tempo, decisamente violento nella sua drammaticità. Il romanzo di Giovanni Murineddu, che ha ispirato una sceneggiatura cinematografica, ci presenta la figura di Ghjuanna Pisanu, agabbadora del paese di Muntigghjoni, e ne racconta la storia, intrecciandola a quelle delle persone che ne richiedono l’intervento. Povera gente o aristocratici che siano, tutti di fronte al male decidono di affidarsi alle sue parole e ai suoi riti, sperando così di donare pace eterna a chi ormai non potrebbe più averne. Una morte invocata che ancora oggi, e forse molto più di due secoli fa, si trova al centro di accese polemiche etiche, religiose o laiche e che non manca di far discutere ogni volta che viene affrontata.

dove trovarlo

Prezzo € 14,00
2007, 160 pag
Editore Il Filo (collana Nuove voci)



_______________________________________________________________________________

***LIBRIDISARDEGNA***
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Adelasia Inserito il - 02/04/2011 : 18:07:13
Beuzza cara...io mi riferivo, en passant, al popolo del taglia-incolla, ovvero a coloro che trascrivono papale papale (giusto per dirla aulicamente) ciò che scriviamo nel forum trapiantandolo altrove, ovviamente senza citare la fonte. Avevo segnalato a Paradisola tali "gentili" signori della farina del sacco altrui, che ho qui citato solo perchè è proprio dall'accabadora che sono partite le mie scoperte....

Forse in questo caso però non mi sono spiegata bene: ho idea che Domenico abbia pensato che mi riferivo in qualche modo all'autore dell'Antologia. Non è così: ho solo sfogliato il testo velocemente senza aver avuto modo di verificare cosa riporti a proposito dei siti web che discutono sull'accabadora. Mi riservo di colmare la mia lacuna al più presto: conto infatti di partecipare a una presentazione del libro, che comunque ho intenzione di acquistare. Certo, se verificassi per esempio che vengono riportati coloro che ci hanno saccheggiato a mani basse e non noi....accabberò in diretta l'autore!!!

Nuragica Inserito il - 31/03/2011 : 20:55:33
Ade e Dome... potreste gentilmente spiegarmi meglio cosa è successo???
Paradisola Inserito il - 31/03/2011 : 20:27:21
e dire che su Paradisola avevo segnalato (ora non c'è più) la presentazione del libro..che delusione
Adelasia Inserito il - 31/03/2011 : 19:42:48
Ecco, sull'argomento, un testo fresco di stampa:
" ANTOLOGIA DELLA FEMINA AGABBADORA " di Pier Giacomo Pala, direttore del Museo di Luras.
Una carrellata sull'argomento in più di 200 pagine: dall'etimologia sulla parola alle testimonianza letterarie, da quelle orali all'accabadora nei siti web (alcuni dei quali, sul tema- ma non solo-, saccheggiano il nostro forum allegramente: mi scuso per la mia incursione estemporanea, ma non posso farne a meno....)
ellalu Inserito il - 03/11/2010 : 22:32:45
...io ho trovato questo libro molto piacevole e interessante...ti entra in punta di piedi..sussurrando un mondo che a me era sconosciuto...ci sono dei tratti di poesia..sui quali ho avuto il piacere di soffermarmi e rileggere...
...qui in fruli abbiamo avuto l'onore di sentirla a "pordenone legge"..dove ha anticipato il suo prossimo libro che parlerà ancora di donne...
...aspetto di leggerlo!
maurizio feo Inserito il - 01/11/2010 : 18:47:39
Il commento di Bolognesi al libro di Michela Murgia (http://bolognesu.wordpress.com/):
"In Sardegna, mi hanno detto che tu il libro volevi chiamarlo Filla de anima, o qualcosa del genere. Infatti, se non ci fosse quella parte centrale, quello sarebbe il titolo giusto di questo bell’esempio di letteratura femminile italiana. Penso che il premio te lo sia meritato e—se davvero vuoi sapere la verità—ne sono anche contento, ma allo stesso modo di quando il Cagliari ha fatto il culo ai Torinesi della Roma, anche se ci gioca un solo Sardo.

Il calcio e la letteratura mi divertono, ma di solito ho altre cose da fare.

Quello che non mi piace è la parte centrale del libro, quella in cui parli di cose da uomini.

È chiaro che parli di cose che non conosci. È chiaro che quella parte non c’entra niente con il resto.

L’hai messa lì—e le malelingue dicono che te l’hanno commissionato i Torinesi—ma non sai di cosa stai parlando. Tu la violenza—quella cosa da uomini di cui provi a parlare—non la conosci. Non sai cosa la scatena e non sai lungo quali sentieri si muova poi. E non sai niente della campagna, perché sei una donna sarda e le donne sarde in campagna non ci andavano.

Per capirci: l’uva da vino ha sempre gli acini piccoli: è quella da tavola—l’unica che evidentemente conosci—che ha gli acini grandi; costruire un muro a secco di 200 metri in tre giorni significa dover pagare—in un modo o nell’altro—una squadra consistente di professionisti e occorrerebbero decenni prima che 200 metri quadrati di terreno ti facciano guadagnare la spesa affrontata; 400 quintali di grano(?) varrebbero davvero la pena di spostare il muro di un metro, ma purtroppo 400 quintali di qualsiasi cosa che non sia piombo o uranio impoverito in 200 metri quadrati ci possono stare soltanto se lo metti dentro sacchi bene impilati; l’odore delle stoppie: appunto, quale? Il cane chiuso nel muro è una variazione sul tema del cane crocifisso che hai trovato in “Il giorno del giudizio”: insomma, un cliché letterario; la pazienza dei minatori—lo sai, io sono figlio di minatore e sono cresciuto in un rione di minatori—è quella di gente che lavora con la dinamite: a Iglesias si dice ancora “Genti de miniera, genti de galera” (forse questo lo capiscono anche i Torinesi); se devi sparare a uno che stai tenendo sotto tiro, lo fai PRIMA che dia fuoco al tuo grano, non dopo; non capisco perché non abbiano portato Nicola al CTO di Iglesias: è quasi sicuro che la gamba gliel’avrebbero salvata (a quei tempi forse si chiamava ancora I.N.A.I.L.); ho conosciuto al CTO di Iglesias un ragazzino di 16 anni che aveva perso una gamba cadendo dal cavallo e che aveva una voglia di vivere incredibile, come tutte le persone che ho conosciuto—o visto in televisione—in quelle condizioni; Bonaria non era un’acabbadora—si scrive così: la doppia B rappresenta la plosiva bilabiale sonora e la fricativa corrispondente (la B scempia) la trovi in catalano, non in sardo—perché le acabbadoras non sono mai esistite e tu lo sai: infatti Predi Pisu lascia in pace Bonaria (figurati un prete che cede il proprio monopolio su queste questioni!); leggiti “S’acabadora” di Toni Soggiu—a proposito, lo conosci?—e di ai tuoi padroni torinesi di andarsi a cercare altrove i loro baluba assetati di sangue.

Le malelingue dicono che questo svarione infelice sull’acabbadora te l’abbiano commissionato i tuoi padroni torinesi, per rubare un po’ di mercato ai sanguinacci salati di Niffoi con questo sanguinaccio dolce e pieno di pabassa.

Non farlo più, Mari’! Tu non lo sai, ma io per sei mesi ho diviso il letto con un’acabbadora vera, un’infermiera che una volta questa cosa l’ha fatta davvero, assieme al medico, molti anni fa.

Quello che mi ha raccontato lei varrebbe davvero la pena di essere raccontato, soprattutto a chi parla con tanta faciloneria di eutanasia.

Ma c’è una cosa che proprio non capisco: nei ringraziamenti ringrazi Marcello Fois per averti convinto ad usare “il tuo sardo”.

Vorresti spiegarmi dove l’hai usato?"
Tra i due - probabilmente - non scorre buon sangue...
luca56 Inserito il - 24/05/2010 : 14:32:22
Come "postato" nel mese di marzo, vi comunico che e' uscito l'audiolibro di Accabadora per le edizioni Emons. Adesso.... i pigri non hanno più scuse. (e anche chi ha problemi di lettura potrà ascoltare questo bel racconto)

http://michelamurgia.altervista.org/
luca56 Inserito il - 27/03/2010 : 21:55:35
A maggio uscirà il libro anche in formato "audio", ho visto la notizia sul blog di Michela Murgia.

Nel sito è presente anche una petizione per chiedere alla Regione di bonificare il territorio di Furtei utilizzando le competenze dei minatori licenziati dalla società che lo ha sfruttato.

http://michelamurgia.altervista.org.../view/15/29/
milly73 Inserito il - 03/08/2009 : 21:12:30
lucina ha scritto:

Anche a me è piaciuto tantissimo "Accabadora"di Michela Murgia!

anche a me è piaciuto moltissimo!
lucina Inserito il - 19/07/2009 : 20:59:48
Anche a me è piaciuto tantissimo "Accabadora"di Michela Murgia!
alepazzi Inserito il - 18/07/2009 : 21:14:15
ho letto "accabbadora" di michela murgia, un libro bellissimo!
Adelasia Inserito il - 19/10/2008 : 21:18:02
Visto che l'accabadora riemerge manco fosse l'araba fenice, ecco un altro spunto: "Akkabbadoras, riso sardonico e uccisione dei vecchi in Sardegna" di Maria Giuseppa Cabiddu, ovvero 26 pagine su questi temi nei "Quaderni bolotanesi" n. 15.
Agresti Inserito il - 12/10/2008 : 22:47:58
«Non moriva! Era da giorni che non riusciva a morire... gridava, ehh, voci che non ti dico. Era mia zia, quella, zia Tittia Piliedda». Poi è arrivata lei, la signora della morte, dell’eutanasia, in carne ossa, «s’accabadora», vestita di scialle come una qualunque madre di famiglia. Tzia Malleni la chiamavano nel circondario della Barbagia, «una donna anziana, femina pratica».

È entrata in camera da letto e ha fatto quello che doveva fare. «E io l’ho vista con questi miei occhi» giura oggi Paolina Concas, seduta su una sdraio nella sua casa di Gadoni. Novant’anni, compiuti lo scorso 11 giugno. Ma è successo tutto a Seulo, il suo paese nativo, nei primi anni Quaranta, mentre gli uomini erano al fronte, a combattere la guerra. «Soltanto allora zia Piliedda è morta - riparte il racconto tenuto nello stomaco per una vita -, subito è morta, quando è arrivata tzia Malleni, minuti sono passati, non più di minuti: dopo che le ha ficcato quel piccolo giogo, lei è morta. Morta e basta». Paolina Concas è lucidissima e alquanto vivace. Parla a ruota libera, quasi sempre in limba sarda, davanti all’obiettivo della telecamera e a Dolores Turchi che l’intervista. Ci sono pure due accompagnatori che intervengono di tanto in tanto, Stefano Vacca e Mattia Porru, entrambi di Gadoni.

Tutto registrato, su un dvd allegato adesso a Ho visto agire s’accabadora, il nuovo libro di Dolores Turchi, appunto, appena uscito con il marchio delle Edizioni Iris (130 pagine, 20 euro). «La prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabadora»: questo il sottotitolo del saggio. Un vero e proprio scoop per la studiosa di tradizioni popolari, da oltre trent’anni a caccia di testimonianze dirette, nella sua Oliena come nel resto dell’isola e dell’intero bacino del Mediterraneo.

Autrice di numerose opere di grande successo, pubblicate con la Newton Compton, come l’intramontabile Leggende e racconti popolari della Sardegna. Ma quella di s’accabadora non è né una leggenda né un racconto popolare, e neppure un mito, come spesso si è creduto: «Non essendo in passato in possesso di testimonianze dirette, alcuni ne negavano l’esistenza, pertanto questa figura è rimasta per molto tempo alquanto controversa» dice Dolores Turchi.

Ora, invece, c’è Paolina Concas che rompe il tabù del silenzio e conferma: «Io l’ho vista». E l’ha vista, s’accabadora, mentre metteva fine alla lunga agonia di una sua zia. «Noi eravamo lì, siamo andate, due nuore sono venute con me, eravamo tre, quattro - racconta la novantenne -. E gridava, la moribonda, c’era il prete che le aveva dato i sacramenti, poi quando il prete è uscito, hanno tolto tutto dalle pareti, i santi, tolti tutti, tutto tutto tutto... il sacramento le colava sulla testa e anche quello le hanno tolto». Così le donne del parentado hanno fatto strada alla signora dell’ultimo respiro, s’accabadora, tzia Malleni.

S’accabadora: dallo spagnolo acabar, mettere fine. «Una donna chiamata per interrompere una lunga agonia che si protraeva per più giorni tenendo il moribondo tra le più atroci sofferenze - spiega la Turchi -. Erano i familiari a chiamare queste donne
“esperte”quando volevano alleviare il loro congiunto da una simile pena, ma molto spesso, se l’agonizzante era cosciente, era egli stesso a richiedere l’intervento di queste persone che, a detta di
molti, non lo facevano a cuor leggero». In altre parole: s’accabadora era la donna incaricata di staccare la spina.
La spina cervicale, s’intende. Proprio come fece a Seulo con Tittia Piliedda.
Soltanto così si spiega la morte istantanea procurata dall’accabadora. «Quella sera lì - continua Paolina Concas - non l’abbiamo vista quando l’ha tirato fuori, perché lo aveva nascosto sotto il grembiule questo jualeddu, ma doveva essere molto piccolo, quaranta centimetri, un piccolo giogo, simile al giogo grande che fanno per i buoi, di legno. Quando gliel’ha messo, alla moribonda, giusto qui, sotto il collo, quella è morta subito. Quando noi abbiamo visto questo ci siamo impaurite... ». Evidente che s’accabadora era femina pratica di anatomia umana: il pezzo di legno sistemato sotto la nuca, infatti, le serviva per spezzare la colonna cervicale con un colpo secco della mano sulla testa della persona in fin di vita. Un solo colpo, deciso, forte, senza tentennamenti, per una morte immediata.
Altrimenti, s’accabadora, «poteva sollevare la testa dell’agonizzante ormai allo stremo delle forze e lasciarla ricadere contro su juale» spiega ancora Dolores Turchi, precisando che i sistemi usati dalle signore della morte, in fondo, erano tanti. «Ma tutte usavano su juale».
Il giogo: simbolo sacro del dualismo anima e corpo, morte e rinascita. Concetti precristiani, propri del culto di Orfeo, diretta derivazione dei culti di Dioniso, praticati nella Tracia e diffusi in Grecia, a Creta, nell’Asia minore e nell’Italia Meridionale, già dal VI secolo avanti Cristo.

Non a caso in Sardegna si credeva che la lunga agonia di chi non riusciva a morire, a passare nell’altro mondo, era dovuta a un sacrilegio. Per esempio: bruciare un giogo. La distruzione del giogo era considerato un peccato molto più grave dell’omicidio o dell’abigeato. In questi ultimi casi, infatti, l’offesa era indirizzata all’uomo; dare fuoco a su juale, invece, significava sfidare dio o comunque gli esseri superiori del regno dell’Aldilà. È così, allo stesso modo, che si spiega l’altra causa che porta l’uomo a scontare lunga e penosa agonia al momento del trapasso: spostare la pietra di confine. Simbolo del limite che passa tra il mondo dei vivi e il mondo delle anime. Spostare quella pietra era perciò un peccato gravissimo, un affronto diretto al dio Terminus, che aveva il compito di vigilare sulla inviolabilità dei confini dei campi. Compito sacro, soprattutto prima che l’editto delle chiudende, 1820, seminasse le lande di Sardegna di così tanti muretti a secco.

«Non meraviglia dunque che fosse s’accabadora a intervenire nel momento cruciale - dice Dolores Turchi -. Era quello il momento in cui la famiglia chiedeva l’intervento dell’accabadora, che aveva il compito di porre fine alla sofferenza del moribondo, un’azione che nella mentalità del popolo veniva considerata come un gesto umanitario, fatto a fin di bene, per agevolare il trapasso».
Per la Chiesa, però, le cose non andavano esattamente così. Nel suo libro, la Turchi, rifacendosi ad un prezioso lavoro di ricerca di Eliano Cau, Deus ti salvet Maria, riporta interi passi di alcune poesie di padre Bonaventura Licheri, il gesuita che a metà del ‘700 accompagnava il missionario piemontese Giovanni Battista Vassallo, impegnato nell’evangelizzazione della Sardegna centrale. «Sa bruja accabadora - denunciava Licheri parlando alla sua gente - / de Deus adultèra, / dimonia in terra vera, / mortale pesta. // De su corvu sa festa / faghen prima ‘e s’interru, / fizas sunt de s’ifferru / de mala sorte» («La strega accabadora, infedele a Dio, vera demonia in terra, è simile alla peste mortale. Fanno la festa del corvo prima ancora della sepoltura, sono figlie dell’inferno e della malasorte»). Facile, dunque, capire perché intorno alla femmina accabadora sia sempre rimasto un clima freddo e omertoso.

Lo stesso Alberto Della Marmora, il primo autore che mise nero su bianco su questo tema particolarmente delicato, fu costretto a ritrattare le affermazioni riportate nel suo Voyage en Sardaigne, del 1826. Quando uscì la seconda edizione del libro, nel 1839, la notizia dell’accabadora era sì data, ma soltanto in forma dubitativa e non più come una certezza assoluta. Le polemiche, del resto, inguaiarono persino l’abate Vittorio Angius. Anche lui, quando compilò le voci sarde del Dizionario di Goffredo Casalis, tra il 1832 e il 1848, dovette fare i conti con i benpensanti che preferivano tacere sull’esistenza dell’accabadora. Ma l’uso del giogo continuò comunque, e i
viaggiatori dell’Ottocento, dall’inglese William Henry Smyth fino ad Antonio Bresciani (anche lui abate gesuita), continuarono a parlarne quasi sottovoce. Oggi, invece, Dolores Turchi non solo scova una testimonianza oculare, clamorosa, quella di Paolina Concas classe 1918, ma trova tracce della «dimonia in terra» persino nei sinodi diocesani del XVI e XVII secolo. E ancora: trova i segni lasciati dalla «sacerdotessa della morte», come pure dal giogo, anche fuori dall’isola dei nuraghi, nell’Alpago, in Friuli, in Sicilia, e pure in Francia, nella regione del Perigord e in Sologne. Insomma: con il suo nuovo libro Ho visto agire s’accabadora, Dolores Turchi scava nella storia e nelle religioni precristiane, frantumando un tabù rimasto finora inviolato.


Tratto da La Nuova Sardegna


Agresti Inserito il - 12/10/2008 : 19:30:04
Prosegue inesorabile l'attenzione sulla figura dell'Accabadora.
Questa volta abbiamo la possibilità di vedere e sentire
la testimonianza, raccolta dalla studiosa Dolores Turchi, di una donna di novanta anni.
Al libro è stato infatti allegato un DVD, in cui appunto
si parla dell'eutanasia in Sardegna, dalla voce
di una donna che ha assistito in prima persona.



«Ho visto agire S'Accabadora».
La prima testimonianza oculare di una persona vivente
sull'operato di S'Accabadora.


di Dolores Turchi
Iris edizioni

dove trovarlo


UtBlocc Inserito il - 22/04/2008 : 14:36:34
Interessanto sono arrivata a metà libro

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