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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Turritano Inserito il - 19/10/2010 : 00:06:41
Siccome il problema dell'origine della lingua Sarda è molto sentito e, ogni tanto, salta fuori in altre discussioni, mi sembra il caso di aprire un apposito tread, dove discuterne più in particolare, confrontando varie teorie e analizzando le loro basi sia dal punto di vista storico che linguistico
Turritano
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
casapuddu Inserito il - 07/06/2011 : 11:09:00
maurizio feo ha scritto:

Oltre ad essere cambiata la lingua sarda, nel tempo sono molto cambiati anche gli atteggiamenti verso di essa.
alcuni giorni fa, nel tribunale di Oristano un teste ha reclamato il diritto di poter rendere la propria testimonianza in sardo (L’Unione Sarda del 21.05.2011). Il Presidente della Corte ha ritenuto lecito il fatto, convocando un interprete.


Questa notizia è bellissima !
Mi ha ricordato - goliardicamente - il "placito capuano" («Sao ko kelle terre..»)
maurizio feo Inserito il - 01/06/2011 : 10:48:45
Oltre ad essere cambiata la lingua sarda, nel tempo sono molto cambiati anche gli atteggiamenti verso di essa.
Nel 1901 un’operaia della Manifattura Tabacchi viene sospesa per aver pronunciato una frase in campidanese; un secolo più tardi, alcuni giorni fa, nel tribunale di Oristano un teste ha reclamato il diritto di poter rendere la propria testimonianza in sardo (L’Unione Sarda del 21.05.2011). Il Presidente della Corte ha ritenuto lecito il fatto, convocando un interprete.
maurizio feo Inserito il - 31/05/2011 : 17:19:36
casapuddu ha scritto:

D'accordissimo con Turritano.

Sono d'accordo anche io. Tant'è che ho ammesso di "averla preso davvero alla lontana".

E' solo, in fondo, una questione di dove mettere i paletti che fungano da parametri limite di discussione.
Come ho detto anche io, nel parlare di "origini" si può sempre risalire anche fino agli ipotetici primi progenitori.

Se invece si preferisce limitare la discussione e parlare "solamente" del Neosardo romanzo e quindi limitarsi a quello, benissimo, nessun problema: è solamente un fatto di scelte.

Chiarisco brevemente (o spero di farlo, almeno!) il punto per sfumatura di significato e per zone differenti dell'isola, di un vocabolo Neosardo, che viene da lontano...
Prendiamo ad esempio la parola Asino.

- "Ainu" sembra essere la più antica, forse di derivazione orientale, essendoci vocaboli anatolici simili.
Esistono però altri vocaboli, che si possono fare riferire a momenti differenti della stratificazione linguistica che ha prodotto il neosardo, e che sono da rapportare a differenti momenti storici:
- alcuni termini vezzeggiativi e diminutivi si riferiscono all'animale piccolo e affezionato: come "Burriccu", d'origine spagnola (quindi discretamente recente e anch'essa romanza), oppure "Bestiolu" o "Bastiolu" (quest'ultimo termine incrociato con la parola "basto", con il quale si caricava l'asinello). "Poleddu" è un altro diminutivo affettivo.
- "Molente" è riferito al fatto che spesso l'asinello si sfruttava per l'uso della macina (dal verbo latino "moleo") e deriva certamente dallo strato latino.
- Rarissimo, ma esistente in minime aree dell'isola è "Asinu" (probabilmente lo stesso vocabolo Ainu che è rimbalzato di ritorno dopo essersi trasformato nel Latino Asinus, perché il latino non sopportava troppe vocali lasciate da sole senza consonanti).
- Stando al prof Pittau, sembrerebbe che i rari ma esistenti "Bistrancu" e Bistrazzu", usati prevalentemente in espressioni dichiarative della grande stanchezza del soggetto che le usa, sarebbero vocaboli con desinenze etrusche e quindi sarebbero anch'essi piuttosto antichi (seppure, non credo tanto antichi quanto ainu) e molto interessanti.

Quindi, si può decidere di parlare solo del Neosardo, ma inevitabilmente alcuni vocaboli ci porteranno in giro, nel tempo e nello spazio, anche molto lontani.
Si può certamente evitare di farlo, naturalmente.
Comunque, mi sono introdotto nel discorso solamente perché qualcuno mi ha nominato, oltre che per dichiarare il mio assoluto ed indiviso grande interesse.
E credo che mi limiterò a leggere soltanto, per il futuro...
casapuddu Inserito il - 31/05/2011 : 14:41:40
D'accordissimo con Turritano.
Turritano Inserito il - 30/05/2011 : 23:23:00
maurizio feo ha scritto:

Se - per ipotesi - accettiamo che la prima ondata di popolamento della Sardegna sia stata quella di epoca Paleolitoco Superiore, la lingua doveva essere quella stessa che si parlava nella sacca di sopravvivenza all'ultima glaciazione sita più vicina al "guado" tra Penisola ed isola Sardocorsa: la sacca subalpina.

La lingua Sarda attuale (anche se in essa sono rimaste residui prelatini) è una lingua romanza: deriva dal latino. Se vogliamo discuttere sulle lingue che si parlavano in Sardegna prima dei romani (passato molto remoto), i discorsi si fanno ipotetici e comunque si tratta di un altro argomento che ben poco ha a che fare col Sardo attuale
Turritano
maurizio feo Inserito il - 30/05/2011 : 14:50:45
Se - per ipotesi - accettiamo che la prima ondata di popolamento della Sardegna sia stata quella di epoca Paleolitoco Superiore, la lingua doveva essere quella stessa che si parlava nella sacca di sopravvivenza all'ultima glaciazione sita più vicina al "guado" tra Penisola ed isola Sardocorsa: la sacca subalpina.
maurizio feo Inserito il - 29/05/2011 : 12:46:14
Mi sembra ragionevole affermare che la prima lingua parlata in Sardegna sia stata proprio quella parlata da coloro che popolarono per primi la Sardegna.
Questo ci conduce ad esporre quale fu la più probabile modalità in cui si svolse questo popolamento.
E nella categoria popolamento, naturalmente, non si può includere uno sbarco occasionale, breve e non duraturo, oppure un tentativo evidentemente fallito, che non ha avuto esito nell'insediamento definitivo...
maurizio feo Inserito il - 27/05/2011 : 16:17:34
Complimenti!
Raramente mi capita di leggere un argomento così denso di notizie e di punti di vista sensati e da ponderare anche quando e se (in qualche punto solamente) non li si condivida del tutto...
Prima di affermare qualsiasi cosa al riguardo, sento il bisogno di rileggere bene e con attenzione tutto quello che è stato scritto, che ho trovato personalmente molto, molto interessante (ma anche un po' difficile, per me, per ciò che talvolta si sottintende).

Innanzitutto perché la linguistica non è la mia materia specifica, anche se mi piace moltissimo sgrufolarci dentro come un porcello, dal primo giorno che la scoprii, tanto tempo fa.
Purtroppo - nel tempo - ho notato che le teorie degli studiosi della lingua siano spessissimo in vistoso contrasto tra loro, fino a sostenere tesi macroscopicamente differenti, che quindi confondono gente come me, che "non riconoscerebbe un fonema neppure se dovesse violentemente sbatterci contro il muso"...

Infatti, ad esempio, (e mi tengo ancora prudenzialmente a distanza dal PaleoSardo e dal NeoSardo) l'Etrusco è considerato una lingua Indoeurpea dal prof Pittau, ma da numerosi altri studiosi internazionali è invece considerato una lingua non Indoeuropea. Gli argomenti usati a conforto delle due tesi sono egualmente affascinanti da leggere, talvolta egualmente convincenti: per cui la scelta alla fine ognuno di noi profani è costretto a farla per fede ed affetto maggiori nei confronti di uno studioso, o per ideologia (appunto), oppure (meglio) a sospenderla, lavandosene le mani e delegando ad altri la disputa...
Inoltre, talvolta lo stesso linguista decide di cambiare opinion nel corso degli anni, rivendicando la propria nuova nuova posizione con l'onestà intellettuale che ognuno dovrebbe dimostrare pubblicamente, ammettendo un proprio passato errore...
Ancora, per quanto riguarda le Lingue Indoeuropee, so che sono state ipotizzate, come sedi di origine delle loro antenate Proto-Indoeuropee, addirittura 21 sedi differenti tra loro e talvolta veramente distanti.
Il risultato finale di tutto ciò è che almeno io personalmente non mi fido molto e tendo a mantenere le distanze dalle conclusioni, pur essendo un assiduo lettore della materia.
(Mi rendo benissimo conto che questo mio è esattamente il comportamento che tutti tengono nei confronti della Genetica e che in questo ultimo caso mi disturba. Ma esiste anche una differenza abbastanza precisa tra le due "scienze", che non mi sento di omettere qui. Una è una Scienza Umanistica, l'altra è Biochimica, Matematica e Statistica, affidata ai prelievi di materiale genetico - striscio buccale - e all'elaborazione dei supercomputer)...

Soprattutto, ammetto che qui mi è piaciuto molto il tono sereno, amichevole e distaccato: qualcuno mi ha descritto come non ideologizzato (e lo ringrazio, per questo, senz'altro commosso fino alle lacrime), mentre altrove sono stato accusato di esserlo (e qualcuno sicuramente giudica l'accusa fondatissima, sempre e comunque, nei miei riguardi) in modo bieco e totale e sempre con atteggiamento critico e negativo verso i Sardi. Io sostengo e credo che non sia così.

Ma anche il grado di erudizione in materia sotteso dalle cose che ognuno ha scritto - oltre a piacermi moltissimo - mi obbliga ad un ingresso con il cappello in mano ed in punta di piedi, per il timore di essere proprio io il soggetto fuori posto che dirà delle fesserie sparse inaccettabili...

Io - da parte mia - so qualche cosa di genetica di popolazioni: una linea di studio che ha portato qualche raggio di luce (nella questione della Sardegna Antica, come anche in quella della Tirrenia Antica, come anche in molte altre), ma è ben lungi dall'avere eliminato vaste zone d'ombra, ovunque.
Anzi: proprio là dove più forti sono le resistenze ideologiche isolazioniste e di distinzione "etnica", (ad esempio: nelle isole Britanniche, dove la popolazione è molto affezionata alle distinzioni tra i vari gruppi di celti, e quelli di scozzesi, gli altri di di inglesi, quelli di irlandesi, quelli di discendenti normanni, danesi etc etc) la Genetica di Popolazioni si è scontrata con opinioni popolari ormai incancellabili e resistenza ostinata anche violenta, come violento è sempre stato il modo di esprimere le proprie differenze in quei luoghi.
Mi tengo ancora a distanza, per l'ovvia prudenza suddetta.

Recentemente, alcuni studiosi di lingue, (Atkinson) hanno molto bene utilizzato le unità linguistiche più fondamentali e più semplici, per studiare "l'origine di tutto il linguaggio umano" (mi riferisco proprio ai suddetti fonemi, nelle varie lingue). Fino ad oggi, questi studi non hanno provocato violente reazioni avverse: sembra - per ora - che siano stati accettati, anche perché "non vanno a pestare i pedi a nessuno nel proprio campo". E credo che abbiano lasciato perplessi, prendendoli in contropiede, tutti gli studiosi tradizionali dell'evoluzione delle lingue...
Questi studi confermano quella tesi che la Genetica sostiene ormai da qualche tempo (ma con sempre crescente convinzione): l'uomo ha avuto origine in Africa sud occidentale; da lì si è spostato in un viaggio relativamente "rapido" verso Nord Est; ha attraversato lo stretto braccio di mare tra Africa ed Asia (forse in uno, forse in due punti differenti); poi si è diretto in due direzioni differenti, fondamentalmente opposte: una verso Est, probabilmente via mare con piccolo cabotaggio, l'altra verso Ovest, sia per terra, sia per mare.
Anche gli studi genetici paleobotanici dimostrano come alcune piante, che oggi consideriamo simboli insulari mediterranei assoluti, abbiano invece avuto origine in Africa: parlo dell'olivo e del carrubo.

Sì, sono d'accordo: questo significa veramente prenderla alla lontana, lo so!
Ma si deve assolutamente tenere conto del fatto che - nella ricerca delle "origini" (di una lingua o di una popolazione) - si corre appunto questo rischio: di risalire troppo indietro (diciamo fino ai mitici Adamo ed Eva), cosa che non sarebbe di alcun aiuto per nessuno, anche ammesso e assolutamente non concesso che si possa fare.
L'alternativa utile è quella di sciegliere un punto - che naturalmente non può essere troppo preciso, nel tempo e nello spazio - che corrisponda ad un'epoca nella quale alcune caratteristiche distintive (sempre, di una Lingua o di una Cultura) si sono andate formando e consolidando in modo definitivo, tanto da essere poi trasmesse immodificate nel patrimonio culturale di tutti i discendenti di quella popolazione, nel corso della sua migrazione spazio-temporale... E questo è appunto ciò che io, personalmente, trovo più interessante...

Comunque, credo che - nelle interessanti questioni sollevate in questo post - sia più opportuno chiedere l'intervento degli altri esperti in linguistica sarda (perché qualcuno, mi sembra, c'è già...).
A più tardi....
casapuddu Inserito il - 27/05/2011 : 11:16:37
antonio Inserito il - 27/05/2011 : 09:02:18
si, infatti ho "corretto il tiro".
Come in tutte le comunità, anche a Roma oltre alla lingua ufficiale, esistevano dialetti e gerghi. Se oggi in Italia, nonostante la scolarizzazione di massa, mamma RAI e mass media di varia estrazione tecnologica, continuiamo a parlare non solo le geovarianti storiche ma anche italiani diversi (sovente molto diversi), posso immaginare quali lingue parlassero duemila anni fa uomini che avevano l'unico problema di sopravvivere.
E quale presa potessero avere sulla stragrande maggioranza della popolazione regole grammaticali e precisione linguistica.
Ritengo che latino il classico lo parlavano più o meno come lo parlano in Vaticano... che oggi va bene per le encicliche ed allora andava bene per inscrivere le lapidi.

adiosu
casapuddu Inserito il - 25/05/2011 : 16:25:17
ciao antonio,
hai ragione che certamente il latino "parlato" decisamente non era il latino di Cicerone (niente di cui stupirsi: per strada, alla fermata dell'autobus, difficilmente un'informazione la chiederemmo nella prosa di un Eco o di un Baricco).
Il punto su cui dissento, però - sempre che abbia capito bene e non abbia mal letto ciò che intendevi - e che i "Romani de Roma" nella loro latino parlato e quotidiano non declinassero o coniugassero.
Cosa che non sarebbe vera né all'epoca né oggi.
Forse intendevi che non coniugassero, né declinassero *secondo gli standard della prosa scritta*: in questo caso, ammetto una mia dose di colpa nel non aver dato alla lettura del tuo intervento la giusta dose di elasticità.

Cordialmente.
antonio Inserito il - 22/05/2011 : 19:53:53
caro casapuddu,
accetto volentieri l'osservazione e correggo il tiro:

Ben pochi a Roma declinavano e coniugavano correttamente, secondo le regole grammaticali del latino classico.

ma:
perchè il romanesco, nonostante la posizione geografica privilegiata, la continuità storica e l'influenza politica dello stato pontificio che aveva (ed ha tuttora) il latino come lingua ufficiale, è così lontano dal latino classico?
Non viene il dubbio che una cosa sia la lingua ufficiale ed un'altra la lingua parlata? E che il romanesco attuale sia in realtà simile ai volgare del periodo imperiale?

saluti. a presto
casapuddu Inserito il - 19/05/2011 : 11:18:57
antonio ha scritto:

Caro Turritano,
ti ringrazio per avermi reso l'onore di citare ampiamente un mio commento postato altrove in questo forum; aggiungo inoltre che su Pittau hai ragione tu.
Veniamo al merito della discussione.
L'affermazione che i sardi preromani non parlassero una lingua italica-italide tradisce molta ideologia;
non è dato sapere quale fosse la loro lingua ne quali fossero le lingue di riferimento.
Si possono solo fare supposizioni, ma su queste non è lecito costruire teorie.
Ipotizzare il sardo preromano che fosse del gruppo italide ha il vantaggio di essere la soluzione più economica e meno fantasiosa.
La linguistica romanza costruisce, al contrario, teorie su assunti non dimostrati, tra i quali:
1- Che la romanizzazione comportasse anche alla latinizzazione
2- Che i romani imponessero la loro lingua
3- Che le lingue nazionali cosiddette neolatine nascessero dal volgare latino
4- Che la loro differenziazione fosse dovuta ai dialetti locali preesistenti (il sostrato) e che ciò sia avvenuto alla disgregazione dell’impero.


Per il punto 1 faccio notare che: Grecia, Anatolia, Siria, Palestina, Israele,Egitto, Libia, Tunisia, Svizzera, Germania, Inghilterra paesi Baschi e Tracia hanno fatto parte per più o meno lungo tempo dell’impero ma non hanno subito latinizzazione; la Dacia (Romania) che ha subito la dominazione per soli 70 anni invece è stata latinizzata.
Sarebbero quindi state latinizzate solo Italia Francia Spagna e parte della Dalmazia: con molta semplicità Alinei fa notare che queste, insieme alla Dacia, costituiscono le aree di insediamento della cultura detta della ceramica impressa cardiale (neolitico?).
Punto 2. Che i romani imponessero la loro lingua è una invenzione bella e buona. Sarebbe anche interessante sapere quale, visto che nella sola Roma si parlavano tre o quattro versioni diverse di latino, nei dintorni rurali poi ognuno parlava la sua variante. Lasciando perdere il latino colto, quello che si insegna oggi a scuola per intenderci, che era riservato a pochissimi cultori, il resto non aveva certo la parvenza di quello che conosciamo.
I romani de roma non declinavano, non coniugavano, semplificavano e modificavano secondo la classica legge dell’economia che regola tutti i linguaggi umani. Più ti allontanavi da Roma più tutto si diversificava.
Si dice che fossero gli eserciti che trasmettevano il linguaggio alle province: ma i soldati provenivano dalle province, c’erano intere legioni straniere, quasi mai erano laziali o di roma e facevano fatica a capire quelli de roma.
Durante il periodo imperiale molti imperatori venivano dalle province dell’impero: ad uno che veniva da più vicino, non mi ricordo il nome, ma era dell’Italia centrale, dovettero fargli un corso accelerato di latino perché si vergognavano di come parlava. Un imperatore durante l’impero!!
Puoi capire come parlassero altrove. E come avessero tutta sta voglia di imporlo agli altri.
Nessuno nega che ci sia stata una influenza latina sulle lingue locali ( Alinei parla di ibridazione) talvolta anche molto significativa soprattutto nei grandi ceti urbani (ma trascurabile nelle aree rurali e periferiche) ma affermare che le lingue locali siano sparite per lasciar posto al latino contrasta non solo con il buon senso ma con l’esperienza (interessante a proposito del “contatto linguistico” la lettura di “Sardegna tra tante lingue” di Bolognesi che si trova in pdf su sardegna digital library).
Il punto 3 ha creato qualche problema agli stessi romanisti; l’ipotesi originaria era che le lingue romanze discendessero direttamente dal latino classico, ma poi devono essersi resi conto che non lo parlavano neanche a Roma e pertanto hanno corretto il tiro: è diventato il volgare latino.
Quale volgare latino? Parlato da chi?
Mah…
hanno ipotizzato che fosse quello militare; siccome ciò non spiegava le notevoli incongruità lessicali tra le varie lingue neolatine, supposero che ogni lingua traesse caratteristiche specifiche dal periodo storico della conquista militare della regione. Cioè supposero che i militari parlassero un latino diverso nei vari periodi dell’impero e quello trasferivano alle province assoggettate. Ma con questa ipotesi non sono venuti a capo di nulla, probabilmente perché il latino militare differiva dal contemporaneo che si parlava a Roma e venivano a mancare riferimenti certi. Questa teoria non riusciva inoltre a spiegare come mai i dialetti della barbagia, che si suppone latinizzata nel 200-300 d.c. (leggere a proposito la divertente spiegazione di Pittau), avesse le caratteristiche del latino arcaico e non quelle del tardo impero. Credo che abbiano abbandonato l’argomento.
L’ipotesi di Alinei è che le popolazioni assoggettate abbiano continuato a parlare i loro dialetti, che questi siano stati influenzati dalla presenza romana, soprattutto nei vocaboli innovativi (amministrativi, tecnici , culturali) ed in quelli che veicolano concetti astratti ( nessuno nega che Roma abbia apportato innovazione tecnica e culturale) ma che abbiano conservato gran parte della terminologia preromana.
Per il quarto punto faccio notare che la linguistica romanza fa rientrare dalla finestra quello che ha cacciato dalla porta: se alla dissoluzione dell’impero il sostrato ha condizionato la formazione delle lingue romanze significa che nei 400 anni dell’impero non è mai sparito.

E i dialetti sardi? Spariti e riapparsi pure loro?

Salude









Intervento interessante, Antonio.
Lasciami tuttavia segnalare alcune imprecisioni qua e là del pur apprezzabile ragionamente, in particolare:
I romani de roma non declinavano, non coniugavano, semplificavano e modificavano secondo la classica legge dell’economia che regola tutti i linguaggi umani.

Consentimi, con garbo naturalmente, di dissentire.
O quantomeno di correggere il tiro.
Nel caso che invece io non abbia prestato sufficiente attenzione e abbia evidentemente travisato, me ne scuso fin da ora.
Bissenti_aresti Inserito il - 26/11/2010 : 12:54:14
Intzandusu seusu mali pigausu!!
s'indanti skotzianu diarerusu
robur.q Inserito il - 24/11/2010 : 14:21:55
Bissenti_aresti ha scritto:

itta si fueddara in Sardinnya prime e lompi is Romanusu?
gratzia


booooooohhhhh
e chi lo sa caro Bissenti?
Finora non abbiamo documenti scritti unanimemente riconosciuti, i nomi dei luoghi sono in gran parte non comprensibili, nella lingua sarda odierna l'elemento non latino è scarsissimo!
L'unica lingua di cui abbiamo prova certa è il punico, la lingua di Cartagine, ma solo in epoca tarda, durante il controllo cartaginese dell'isola, e comunque in un uso evidentemente limitato; non era certo la lingua autoctona, anche di questo siamo certi.
Dal punico pare discendano alcune parole del campidanese come mitza (sorgente) e tzippiri (rosmarino): pochino
della lingua autoctona forse il nome del muflone, qualche nome di pianta in Barbagia a basta puru.

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