Forum Sardegna - Il favismo: tutto ciò che bisogna (far) sapere
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Nota Bene: Proviene da Nule (Sassari) un bronzetto nuragico , unico nel suo genere, rappresentante un "toro androcefalo", ovvero un toro con testa umana, una sorta di minotauro. E' la probabile rappresentazione di una divinità o di una figura mitica dei nuragici.



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 Il favismo: tutto ciò che bisogna (far) sapere
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Autore Discussione
Pagina: di 3

jomaru
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 30/09/2011 : 13:13:22  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Questo che vi sottopongo è un altro documento molto interessante (chiedo scusa ma purtroppo è in inglese) sulla presunta relazione favismo/longevità, tratto da Acta Medica Iranica, Vol. 46, No. 3 (2008), in cui si fanno espliciti riferimenti ai Sardi.

NEW ASPECTS
G6PD, aging and longevity
NADPH produced by G6PD is a critical modulator
of the cellular redox state and serves as a reductant
for several enzymes which generate oxygen-free
radicals, including the leukocyte NADPH oxidase
and its more widely distributed homolog Nox1, nitric oxide synthase, the cytochrome P450
monooxygenases, and the Fenton reaction of
iron-mediated catalysis of hydroxyl radical
formation from H2O2. Thus, a reduction in the
supply of NADPH (which happens in G6PD
deficiency) could have a profound effect on oxygenfree
radical production. Oxidative stress and
associated inflammatory processes are believed to
play an important role in the pathogenesis of major
age-related diseases, such as cancer,
atherosclerosis, and Alzheimer’s disease, as well as the basic aging process. Studies in
Sardinian males bearing the Mediterranean variant of
G6PDH deficiency, both with cells in vitro and in
epidemiologic observations, support the hypothesis
that reduced G6PDH activity has a beneficial effect
on age-related disease development and longevity.
Recent epidemiological studies have found that
G6PD deficient Sardinian males have a reduced
mortality from cerebrovascular and cardiovascular
disease and are more likely to achieve centenarian
status than their normal counterparts.


L'articolo completo potete trovarlo cliccando su questo link,

http://journals.tums.ac.ir/upload_f...pdf/8823.pdf

in cui è possibile apprezzare alcuni studi altrettanto interessanti sull'interazione del G6PD a livello cellulare (crescita, senescenza, morte) e l'ambigua correlazione tra l'attività del G6PD e alcuni tumori.










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Il mare l'abbraccia divina impronta del regale sandalo...

 Regione Marche  ~ Prov.: Pesaro-Urbino  ~ Città: Fano  ~  Messaggi: 536  ~  Membro dal: 09/03/2011  ~  Ultima visita: 28/05/2012 Torna all'inizio della Pagina

pollo mannaro

Utente Medio


Inserito il - 30/09/2011 : 14:19:32  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Non avevo visto questo topic. Interessante davvero. Complimenti a jomaru.

Posso portare la mia esperienza (per quel che vale) e proporre un consiglio ai genitori.
Quand’ero bambino, fatte le analisi e determinata la mia appartenenza alla categoria dei G6PDH carenti, i miei genitori mi insegnarono il significato di ciò ripetendomelo in tutte le occasioni pertinenti (niente fave, attenzione all’acido acetilsalicilico, attenzione al polline delle fave in fiore, etc etc). Soprattutto mi raccomandarono per anni di segnalare la carenza in caso di visite mediche o prescrizione di farmaci.
Adesso lo faccio per abitudine, sempre, come quando ci si lava le mani e adopero sempre la terminologia “G6PDH carente” piuttosto che “fabico”. Non ho mai trovato un medico che non ne conoscesse il significato (mi è accaduto anche all’estero) e non ho mai avuto problemi.
Direi che la consapevolezza di essere “G6PDH carente” non ha cambiato di un capello la mia vita, salvo rendermi estremamente cauto nell’assunzione dei farmaci (ne prendo solo dietro prescrizione medica e solo se strettamente necessari; mi sincero sempre che il medico sappia della mia carenza).
Se non avessi paura di dire uno sproposito, potrei quasi affermare di essere riuscito a interpretare a mio vantaggio l’essere fabico (non prendo un sacco di porcherie ad ogni piè sospinto come fa troppa gente e pretendo dal mio organismo che reagisca di fronte alle malattie).
Precedendo una possibile (e sacrosanta) reazione di Feo, dirò che non sono contrario ai terapici chimici (tutt’altro, ci mancherebbe). Essere fabici non impedisce la terapia: bisogna solo essere cauti.

Il consiglio?
Fare come i miei genitori: mi hanno spiegato tutto fino a che mi è entrato in testa: con pochi, buoni, comportamenti, si vive benissimo.
Infine, soprattutto al di fuori della Sardegna, è meglio sforzarsi di ricordare: glucosio-sei-fosfato-deidrogenasi-carente, facendo seguire da : carenza genetica. Lo so che sembra una cretinata, ma effettivamente il termine “fabico” e “favismo” potrebbe generare incomprensioni.






 Regione Estero  ~ Città: Atlantide  ~  Messaggi: 450  ~  Membro dal: 25/12/2010  ~  Ultima visita: 23/03/2012 Torna all'inizio della Pagina

jomaru
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 30/09/2011 : 15:17:50  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
pollo mannaro ha scritto:

Non avevo visto questo topic. Interessante davvero. Complimenti a jomaru.

Posso portare la mia esperienza (per quel che vale) e proporre un consiglio ai genitori.
Quand’ero bambino, fatte le analisi e determinata la mia appartenenza alla categoria dei G6PDH carenti, i miei genitori mi insegnarono il significato di ciò ripetendomelo in tutte le occasioni pertinenti (niente fave, attenzione all’acido acetilsalicilico, attenzione al polline delle fave in fiore, etc etc). Soprattutto mi raccomandarono per anni di segnalare la carenza in caso di visite mediche o prescrizione di farmaci.
Adesso lo faccio per abitudine, sempre, come quando ci si lava le mani e adopero sempre la terminologia “G6PDH carente” piuttosto che “fabico”. Non ho mai trovato un medico che non ne conoscesse il significato (mi è accaduto anche all’estero) e non ho mai avuto problemi.
Direi che la consapevolezza di essere “G6PDH carente” non ha cambiato di un capello la mia vita, salvo rendermi estremamente cauto nell’assunzione dei farmaci (ne prendo solo dietro prescrizione medica e solo se strettamente necessari; mi sincero sempre che il medico sappia della mia carenza).
Se non avessi paura di dire uno sproposito, potrei quasi affermare di essere riuscito a interpretare a mio vantaggio l’essere fabico (non prendo un sacco di porcherie ad ogni piè sospinto come fa troppa gente e pretendo dal mio organismo che reagisca di fronte alle malattie).
Precedendo una possibile (e sacrosanta) reazione di Feo, dirò che non sono contrario ai terapici chimici (tutt’altro, ci mancherebbe). Essere fabici non impedisce la terapia: bisogna solo essere cauti.

Il consiglio?
Fare come i miei genitori: mi hanno spiegato tutto fino a che mi è entrato in testa: con pochi, buoni, comportamenti, si vive benissimo.
Infine, soprattutto al di fuori della Sardegna, è meglio sforzarsi di ricordare: glucosio-sei-fosfato-deidrogenasi-carente, facendo seguire da : carenza genetica. Lo so che sembra una cretinata, ma effettivamente il termine “fabico” e “favismo” potrebbe generare incomprensioni.



Pollo mannaro mi ha fatto piacere leggere il tuo intervento e ti ringrazio.

Purtroppo la mia esperienza (anche recentissima) mi ha fatto capire che il deficit di G6PD a molti medici fuori dalla Sardegna è tuttaltro che noto (motivo principe di questa discussione).

Condivido i tuoi consigli che non sono affatto banali: molto meglio parlare di carenza di G6PD piuttosto che di favismo, non foss'altro perché potrebbe riportare alla mente "arrugginita" di qualche medico, alcuni bugiardini in cui è controindicata la somministrazione del farmaco...

Figurati che io oltre al file dei farmaci vietati, salvato sull'iphone, porto sempre al collo le piastrine militari americane con inciso "DEFICIT G6PD", oltre ovviamente ai dati anagrafici, gruppo sanguigno e numero SOS: potrebbe sembrare eccessivo, ma in caso di incidente con perdita di coscenza eviterebbe ulteriori guai...

Per il resto sono particolarmente d'accordo col responsabilizzare i bambini sin da piccoli: noi, abituati a viaggiare spesso senza genitori (affidati a hostess "gentilmente sconosciute") sapevamo sin dalla prima elementare come spiegare quel nostro lato "originale" in caso di necessità.

Grazie ancora J







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 Regione Marche  ~ Prov.: Pesaro-Urbino  ~ Città: Fano  ~  Messaggi: 536  ~  Membro dal: 09/03/2011  ~  Ultima visita: 28/05/2012 Torna all'inizio della Pagina

maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 30/09/2011 : 18:31:10  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Premessa (a parte il fatto che avrei fatto bene a restarmene zitto, così avrei evitato di dovere scrivere tutto quello che segue):
Il termine “mutazione” è Copyright di H. De Vries (1901), che la descrisse nella primula.
Una mutazione è una variazione nella sequenza delle basi nucleotidiche del DNA. Tali sequenze possiedono qualche significato biologico.
Esempio analogico: se nella parola “Roma”, sostituisco la “m”, posso ottenere vocaboli che significano, come “rosa”, oppure “roba”, ma anche che non significano, come “ropa”, o “rova”.

Le mutazioni non sono frequenti in Natura: avvengono spontaneamente in un individuo su 10.000/1.000.000. Mutazioni possono essere indotte artificialmente, usando agenti mutageni: raggi X (con cui fu creato del tutto a caso in Italia il grano tipo “Creso”, che rende molto di più del grano normale, avendo un chicco molto più ricco) o raggi gamma, l’iprite, il calore, le rad. ultraviolette, il 5-bromouracile, il nitrito di sodio [NaNO3], coloranti del tipo delle acridine, etc etc.
Le mutazioni costituiscono un fenomeno importante: esse aumentano la variabilità genetica, permettendo l’evoluzione di nuove forme di vita sulla Terra.
Tuttavia, le m. possono avere effetti negativi se non addirittura letali (sul singolo organismo).
Ne esistono tre classi principali:
1) m. geniche – alterano la struttura di un gene. Se riguara una singola coppia di basi, si dice m. puntiforme.
2) m. cromosomiche - alterano la struttura di un cromosoma.
3) m. genomiche – alterano il numero di cromosomi distintivo della specie a cui l’individuo mutante appartiene.

Al primo gruppo, appartengono vari tipi:
-Sostituzione di una base.
-Aggiunta o inserzione di una base.
-Perdita o delezione.
-Inversione.
Queste mutazioni possono avere – oppure no – un effetto sul fenotipo (cioè sull’aspetto esteriore dell’individuo): se il cambiamento porta ad un nuovo “codone”, che però codifica il medesimo amminoacido, allora il prodotto genetico non cambia e la mutazione si definisce neutra o silente. Se invece viene codificato un aminoacido differente, allora si parla di missenso (“senso errato”).
Ora, la presenza di un aminoacido differente potrà avere effetti differenti nella funzione della proteina che ne risulta.
Un esempio che ci è vicino:
La sostituzione di un’unica base nel gene della catena Beta dell’emoglobina provoca l’inserimento di (val) valina al posto di (glu) acido glutammico. Questo determina un danno grave, un’anemia che conosciamo come Anemia Falciforme.
Il danno, in altri casi, può essere così grave da definire letale la mutazione, perché la cellula alterata muore...
Se la proteina non è essenziale alla vita della cellula, non ne modifica sopravvivenza.
Talvolta, la mutazione determina un risultato utile (esempio delle mutazioni nei batteri, che – pur essendo plasmidio- mediate, rientrano in questo gruppo).

Al secondo gruppo appartengono modificazioni che si possono osservare al microscopio, osservando una cellula che si sta dividendo.
Delezione. (perdita di un pezzo di cromosoma: negli omozigoti è in genere mortale; negli eterozigoti, la presenza dei geni normali sul cromosoma omologo, possono supplire).
Duplicazione. Sono meno dannose in genere delle delezioni.
Inversione.
Inversione di ordine di uno o due geni nel decorso del cromosoma (in genere è causata da una riparazione di una parte staccata dopo la sua rotazione di 180°)
Traslocazione. Consiste nell’attaccamento (di un pezzo staccatosi da un cromosoma) ad un altro cromosoma non omologo. Può essere semplice o reciproca. Nell’uomo questa mutazionene è responsabile di alcuni tumori.

Il terzo gruppo comprende:
poliploidie. Quando il numero dei cromosoma diventa un multiplo dell’assetto apolide. Negli animali generano gravi problemi, non nelle piante.
Aneuploidie. Perdita o aggiunta di solo uno o pochi cromosomi. Anche questa mutazione è frequente nelle piante, ma crea gravi alterazioni negli animali. (perché si può avere la mancata disgiunzione di una coppia di cromosomi, con l’effetto ultimo di due gameti con assetto cromosomico sbilanciato, i quali, incontrandosi con altri due gameti normali daranno un individuo monosomico ed un individuo trisomico. (ricordo di passaggio che la trisomia del cromosoma 21 è la Sindrome di Down). Altre sindromi (questa volta aneuploidi) sono la sindrome di Turner e la sindrome di Klinefelter.

E’ un argomento complesso ed affascinante, ma anche molto lungo a raccontarsi (Morgan provò la base cromosomiale dell’eredità nei primi anni del ‘900; Muller dimostrò che i raggi X possono produrre mutazioni nel 1927; Luria e Delbruck dimostrarono nel 1943 che la mutazione è indipendente dalla Selezione Naturale).
Come vedi leggendo (e qui sta la risposta alla tua domanda), però, esistono diversi casi nei quali la mutazione è ininfluente – o quasi – per il benessere della cellula e dell’organismo intero.

Ora so bene di avere creato le basi per altre domande.
Ma risponderò solo a quella più ovvia, che è quasi un’obiezione: “Come sarebbe a dire che le mutazioni non dipendono dalla selezione naturale?”.
La risposta in realtà è semplice: le mutazioni avvengono, semplicemente e spontaneamente.
Si tratta di errori di copiatura. Alcune avvengono con una frequenza prevedibile e sempre negli stessi tratti del DNA (e sono proprio quelle che si usano come marcatori biologici "orologio biologico", nella Genetica di Popolazioni, per stabilire luogo e data di provenienza di alcuni Aplogruppi). E sono indipendenti dalla pressione selettiva: non avvengono in seguito ad essa. Avvengono e basta.
Noi parliamo di “pressione selettiva”, unicamente perché le mutazioni che creano individui più resistenti, di fatto determinano il successo e la sopravvivenza di detti soggetti mutanti, che quindi sembrano essere stati selezionati dall’ambiente.

Che l'effetto benefico della carenza enzimatica risieda nell'azione finale antiossodante è credibilissimo e sposo volentieri la tesi. Contrastare l'ossidazione è un dovere di ciascuno, per vivere meglio e - possibilmente - anche più a lungo...







Modificato da - maurizio feo in data 30/09/2011 18:38:50

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Beni: ti naru unu contu...

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jomaru
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 30/09/2011 : 18:43:29  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Grazie Maurizio e scusa se ti ho posto la domanda, pensavo si trattasse di un chiarimento meno impegnativo...








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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 30/09/2011 : 20:31:35  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
jomaru ha scritto:

Grazie Maurizio e scusa se ti ho posto la domanda, pensavo si trattasse di un chiarimento meno impegnativo...

Ma no, guarda! In realtà, mi fa piacere (e poi ti dico perché). Solo che in questo campo non si possono scrivere fesserie, bisogna stare attenti: e non si può essere troppo brevi.

Nell'articolo che tu citi, compare la frase: "The current database of some 140 mutants consists, with few exceptions, of single missensepoint mutations, entailing single amino acid
replacements in the G6PD protein", il che conferma che la mutazione implicata non è di quelle indifferenti...
E infatti, poco dopo: "It appears that G6PD deficiency is associated with an increased susceptibility to certain diseases. For instance, G6PD-deficient individuals suffer from an increased risk of diabetes and cataract. It is plausible that the reduced proliferative capacity of G6PD-deficient cells impairs the turnover of damaged parenchyma cells. This, together with increased oxidative damage, can undermine the normal physiological functions of various tissues. G6PD may play subtle roles in other aspects of health. For example, G6PD deficiency predisposes affected subjects to a higher risk of b]hypertension[/b]. This may be due in part to impaired production of nitric oxide".

Che gli antiossidanti siano un'ottima terapia contro l'invecchiamento cellulare ed ogni stress ossidativo è un dato di fatto ormai acquisito anche fuori dall'ambiente medico (persino in un vecchio film di James Bond, si fa una battuta sulla necessità che lui "elimini tutti i radicali liberi"): chi non dispone di antiossidanti autoprodotti, dovrà intervenire con agrumi, kiwi, pomodori, uva, tè verde etc etc. e stare quindi più attento con la dieta, eliminandone gli agenti ossidanti.

Comunque, bell'articolo (con ottima bibliografia, e con la nozione per me nuova che - evidentemente - non solo la Mesopotamia, ma anche l'attuale Iran è stato una regione malarica fino a non molto tempo fa): me lo leggerò con calma, grazie!
M







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pollo mannaro

Utente Medio


Inserito il - 30/09/2011 : 20:44:05  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
maurizio feo ha scritto:

Si tratta di errori di copiatura.


Veramente ci sarebbe anche il caso delle mutazioni indotte da fattori esterni (chimici o radiativi (*)).



Altrimenti che ci stanno a fare i forum se non per incasinare la gente?


(*) non è un refuso, proprio 'radiativi', che includono quelli radioattivi






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jomaru
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 30/09/2011 : 22:28:06  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Proprio così Maurizio, secondo una ricerca del Dipartimento di Parassitologia e Micologia Medica dell'Università di Teheran, in Iran si hanno notizie della malaria già ai tampi di Avicenna, che 1000 anni fa descrisse le caratteristiche cliniche tipiche del parossismo malarico.

Per lungo tempo la malaria fu ampiamente diffusa in Iran. Prima di iniziare qualsiasi campagna anti-malarica (1945), circa il 60% della popolazione viveva in zone iper-endemiche, dove circa il 40% della mortalità totale era causata dalla malaria.

Non te la faccio lunga e ti allego il link del documento che ho citato pocanzi, con gli sviluppi della situazione iraniana dagli anni '20 ad oggi:

http://journals.tums.ac.ir/upload_f...pdf/2887.pdf

Ecco perché anche in Iran sanno bene cos'è il deficit di G6PD. Si stima che in generale l'incidenza media della carenza di G6PD in tutte le province dell'Iran sia compresa tra <10% e 21%.







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maurizio feo
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Inserito il - 01/10/2011 : 08:54:15  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Sì, pollo: degli agenti mutageni ho appena accennato (ma mi sembrava già di avere esagerato elencandoli e citando addirittura il "Creso").
Ma anch'essi inducono errori di copiatura, in fondo, per mezzo dei danni prodotti sui cromosomi (tagliati, spezzettati, deleti, moltiplicati in modo più o meno grande o completo), ben oltre i poteri di riparazione di cui si può giovare l'organismo (in sintesi: la fotoriattivazione dei dimeri - con DNA fotoliasi -e la riparazione per escissione del danno).







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jomaru
Salottino
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Inserito il - 01/10/2011 : 13:11:29  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
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Parliamo un pò di Malaria...

Abbiamo più volte ricordato (anche in questa discussione) che la carenza di G6PD funziona come uno dei tanti e vari meccanismi di difesa dei nostri sistemi contro la Malaria, motivo per cui la si riscontra in tutte le aree geografiche nelle quali, fino a non molto tempo fa, tale malattia da plasmodio era presente, insieme al suo vettore, la zanzara Anofele.

La Malaria è una malattia ormai dimenticata in molti paesi industrializzati (l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò nel 1970 che in Italia era stata sradicata) e per molte ragioni non è ritenuta particolarmente rilevante dal punto di vista mediatico.

Tuttavia il quadro planetario è molto diverso.

Il 25 aprile 2010 si è celebrata la "IV Giornata Mondiale della Malaria", un giorno per commemorare gli sforzi globali per controllare la malattia e un rinnovato impegno della comunità internazionale a fare progressi verso lo zero morti entro il 2015.

Ma a che punto è la battaglia?

Secondo l'OMS nel 2008, c'erano 247 milioni di casi di Malaria e circa un milione di morti - soprattutto tra i bambini che vivono in Africa.

In Africa muore un bambino ogni 45 secondi di Malaria, malattia responsabile del 20% di tutte le morti infantili.

Circa metà della popolazione mondiale è a rischio Malaria. La maggior parte dei casi e dei decessi si verifica nell'Africa sub-sahariana. Tuttavia, Asia, America Latina, e in misura minore, il Medio Oriente e parte dell'Europa sono colpiti. Nel 2008, la Malaria era presente in 108 paesi e territori.

Colpisce in modo sproporzionato i poveri che non possono permettersi un trattamento o hanno un accesso limitato alle cure sanitarie, intrappolando le famiglie e le comunità in una spirale di povertà.

Causa perdite economiche rilevanti, e può diminuire il prodotto interno lordo (PIL) ben dell'1,3% nei paesi con alti livelli di trasmissione. Nel lungo termine, queste perdite aggregate annuali, hanno portato a differenze sostanziali in termini di PIL tra i paesi con e senza la Malaria, in particolare in Africa.

I costi della spesa pubblica per la lotta contro la Malaria (personale, prevenzione, trattamento, ecc.) in alcuni paesi ha significato un pesante fardello:

fino al 40% delle spese per la sanità pubblica;

dal 30% al 50% dei ricoveri ospedalieri;

fino al 60% delle visite sanitarie ambulatoriali.


Al Sig. Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, direi, riguardo alla sfida per la copertura universale per la prevenzione e il trattamento della Malaria, che c'è ancora parecchio da fare...








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jomaru
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 01/10/2011 : 16:41:38  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Cenni Storici sulla Malaria in Sardegna

Le origini della Malaria in Sardegna si perdono nella notte dei tempi, probabilmente fu introdotta con l'arrivo dei Protosardi e divenne endemica all'epoca dei Fenici e dei Cartaginesi. Con la conquista da parte dei Romani assunse le caratteristiche di una vera e propria epidemia, ma la diffusione continuò in tutta l'isola fino al Medio Evo per proseguire poi fino al XX secolo.

Negli anni 1920 / 1939 la Sardegna era la regione d'Italia più colpita dalla malaria.

1936/ 1938
morbilità: 36.655 casi, con un tasso di 349,57
su 10.000 abitanti
mortalità: 221 casi, con un tasso di 2,11
su 10.000 abitanti

I dati del 1941 del Ministero dell'Interno indicano ancora il tasso più alto di Malaria in Sardegna, con la provincia di Nuoro: 383,12 casi su 10.000 abitanti.

Durante la seconda guerra mondiale la Malaria aumentò sensibilmente in tutta l'Italia a causa della disgregazione dei servizi sanitari e della distruzione degli impianti di drenaggio in seguito a operazioni militari; ciò portò ad un aggravarsi della situazione in varie regioni, ad esempio nel Lazio, nelle Paludi Pontine e nell'Agro Romano; ma ritornò sotto controllo nel 1946 con l'uso del DDT.

La Sardegna tuttavia deteneva ancora il triste primato nazionale: la popolazione dell'isola rappresentava circa il 2,7% di quella nazionale e si registrava il 20% del numero totale dei casi di Malaria.

La Lotta Antianofelica in Sardegna 1946 - 1950

L'Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna
(ERLAAS ) fu istituito il 12 aprile 1946, come ente speciale dell'Alto Commissariato Italiano per l'Igiene e la Sanità, per la realizzazione della lotta antianofelica in Sardegna.

Il progetto era finanziato da:

UNRRA ( United Nations Relief and Rehabilitation Administration)

ECA ( Economic Cooperation Administration )

Rockfeller Foundation

La Fondazione Rockfeller contribuì al progetto, che ebbe inizio il 13 maggio 1946, anche con la direzione tecnica dello stesso, attraverso la propria International Health Division; l'attività continuò fino alla fine del 1950.

Nel 1943 i Tedeschi, prima di abbandonare la Sardegna, ne allagarono deliberatamente alcune zone determinando in questo modo una grave recrudescenza dell'epidemia malarica. La allarmante progressione della malattia era resa ulteriormente precaria dall'assenza di trasporti pubblici accettabili e dunque dalla estrema penuria di rifornimenti di vario genere. Inoltre i tentativi di bonifica di alcuni territori erano stati interrotti durante il conflitto.

Con l'arrivo delle truppe alleate cominciò l'uso del DDT, nuovissimo prodotto utilizzato in vicinanza degli accampamenti militari, per il controllo della malaria e come profilattico di routine contro gli insetti in genere. Notevoli successi erano stati ottenuti con il suo uso in altre parti d'Italia ( Napoli, foce del Tevere ). Nel tentativo di controllare la malaria a livello nazionale, venne proposto un programma sperimentale, con la collaborazione dell'Istituto Superiore di Sanità e nel quale fu coinvolta anche la fondazione Rockfeller, di eradicazione delle anofeline, e per questa sperimentazione venne scelta la Sardegna.

L'isola era da sempre la regione più malarica d'Italia e proprio per questo era una delle zone più note del Mediterraneo, ma nonostante ciò non si avevano fino ad allora informazioni sufficienti sul vettore della malattia.

In Sardegna, nel 1946 vennero condotte varie indagini che dimostrarono la presenza di diverse specie di Anopheles, e in particolare della specie Anopheles Labranchiae presente non solo in habitat soleggiati ma anche in zone paludose.

Vista la gravità del problema, venne organizzato un programma antilarvale con lo scopo di eliminare le larve della zanzara anofele, responsabile della diffusione della Malaria in Sardegna.

RISULTATI
Dopo un impegno assai notevole, durato circa 5 anni e costato svariati milioni di dollari, la Malaria come malattia sociale fu eliminata dall'isola e, per la prima volta a memoria d'uomo, fu possibile vivere e lavorare ovunque.

Per la popolazione sarda questo risultato rappresenta indubbiamente uno degli eventi più significativi della sua storia, la vasta azione di bonifica ha reso disponibili grandi aree di terreni coltivabili e, inoltre, è stata messa in luce l'entità delle risorse agricole, minerarie e naturali inutilizzate e potenzialmente preziose.

Allego infine il link di un servizio di Videolina su un convegno che ha messo a confronto esperti di vari atenei per fare il punto, a distanza di 60 anni, dall'eliminazione della Malaria. Evoluzione raccolta nel volume "Sardegna e Malaria" scritto da Ugo Carcassi insieme ad illustri studiosi ed edito da Delfino.

http://www.videolina.it/view/servizi/3157.html











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Il mare l'abbraccia divina impronta del regale sandalo...

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maurizio feo
Salottino
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Inserito il - 02/10/2011 : 09:41:20  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Faccio una digressione - che presumo non ti darà troppo fastidio - visto che qualche O.T. è già stato fatto...
In Sardegna, sembrano essere avvenuti fenomeni simili a quelli che sono stati doviziosamente provati altrove: L’estrazione del rame dal minerale grezzo richiedeva circa 300 chili di carbone per produrre un chilo di rame da 30 chili di vena di solfuro di rame. Per una tonnellata di carbone di legna servono 12 – 20 metri cubi di legna.
L’uso del legno come combustibile fu enormemente incrementato, a livelli tali che la vasta regione medio orientale non poteva sostenere in alcun modo. Persino gli anelli d’accrescimento dei travi di ginepro da Katal Huyuk dimostrano che anche lì la crescita delle piante arboree era lentissima per la scarsità d’acqua durante tutto l’anno. Le città della zona, che nascevano e crescevano in numero, erano costrette a costruire grandi cisterne, necessarie per la stagione più secca; richiedevano la disponibilità di vari materiali a tenuta idraulica, come anche di mattoni, ceramiche d’uso comune, coperture degli edifici. La produzione di tutte queste strutture consumava altro combustibile.

L’Egitto, virtualmente privo d’alberi, ricorreva al Libano (Byblos) per il legno di cedro, per la costruzione di templi, per le spedizioni navali commerciali e per il mobilio. Un accenno alla deforestazione si rinviene persino nel romanzo Accadico-Sumerico Gilgamesh, nel punto in cui l’eroe, aiutato da Enkidu, abbatte la Foresta di Cedri, in seguito uccidendo il suo guardiano mostruoso Humbaba. Non è certo che le successive disavventure del protagonista siano messe in rapporto con questa colpa (cioè che il rimaneggiamento Accadico costituisca già una specie di giudizio morale dell’opera su un’attività deprecabile e dannosa dell’uomo): ma sappiamo che egli perde il proprio migliore amico e si vede sfuggire persino la possibilità di essere immortale e di regalare l’immortalità agli esseri umani, liberandoli dalle tristezze del decadimento fisico. Sappiamo bene, oggi, che la terra dei Sumeri, come tutta la “mezzaluna fertile”, una volta deforestata, è stata esposta a gravissima erosione da parte delle brevi piogge torrenziali e non ha più visto ricrescere la foresta primitiva.

Si calcola che l’abbattimento intensivo d’alberi nel Medio Oriente sia iniziato nel 1200 a.C., ma probabilmente tale data va alzata per le regioni più asciutte ancora più ad Est. Il Codice di Hammurabi (1750 a.C.) commina la pena di morte per l’abbattimento non autorizzato di alberi. Il problema, quindi, era già sentito allora: doveva anche essere peggiore nelle regioni ad intenso sfruttamento, come ad esempio l’Anatolia, dove l’estrazione con il fuoco, la fusione e la forgiatura erano già vecchie di 3000 anni!
Non tutti avevano la “coscienza civile” e l’attenzione di Hammurabi. Molto più tardi, Eratostene, scrivendo a proposito di Cipro nella tarda età del bronzo (1200) afferma che, malgrado la grande attività di deforestazione, nell’isola sono stati aperti appena dei sentieri, tanto essa è riccamente coperta di alberi. Gli agricoltori erano anzi incoraggiati, con premi in terre, a rendere agibili all’agricoltura nuove superfici di bosco.

L’età del bronzo, con il moltiplicarsi di strumenti (documentato archeologicamente) sempre migliori per l’abbattimento d’alberi e con l’incremento della richiesta di combustibile necessario per l’aumentata produzione mineraria, può anche essere vista come un’onda inesorabile di distruzione delle foreste e del legname, che si dirige verso Occidente. Nell’800 (uso estensivo ornamentale; introduzione delle coperture in coppo) e nel 500 (nascita delle civiltà “classiche”), tutte le foreste intorno al mediterraneo sono in stato d’agonia.
Si calcola che le miniere di Laurion presso Atene, in 300 anni circa abbiano prodotto 3500 tonnellate d’argento ed 1.4 milioni di tonnellate di piombo. A fronte di questa produzione, si calcolano avvenuti un consumo di 1 milione di tonnellate di carbone e la deforestazione di 101.170 chilometri di bosco. Anzi, si ritiene possibile che l’attività estrattiva sia terminata non per esaurimento delle vene, non per raggiungimento del livello dell’acqua, bensì per l’elevatissimo costo raggiunto dal combustibile.
Platone scrive che “Resta un relitto dell’antica campagna… è come uno scheletro, di un corpo emaciato dalla malattia. Tutto il suolo ricco è scivolato via, lasciando una terra di pelle ed ossa. Le montagne dell’Attica erano coperte di boschi. Ottimi alberi producevano legame perfetto per i tetti delle abitazioni: quei tetti sono ancora in uso”.
Il legno per la flotta Ateniese che avrebbe sconfitto i Persiani a Salamina, nel 480 a.C., dovette essere importato dai Balcani e dall’Italia meridionale.
Ancora il legname fu un bene strategico vitale nella guerra del Peloponneso tra Sparta ed Atene: gli spartani conquistarono le città commerciali ateniesi delle coste Macedoni (tagliando l’apporto di oro e di legname ad Atene); Atene fallì nell’impresa consigliata da Alcibiade di conquistare le riserve di legname della Sicilia. Atene fu quindi sconfitta.

L’isola d’Elba era anticamente chiamata in Greco Aethaleia, l’isola fumosa, per via del fumo dei forni estrattivi. Già i Romani dovevano spedire il minerale sulle coste toscane di Populonia, per mancanza di legno isolano.

Si è stimato dalle tracce archeologiche, che nelle miniere di bronzo di Mitterberg presso Salisburgo in Austria, 180 minatori circa producessero 20 tonnellate di rame l’anno, richiedendo l’abbattimento di 7,8 ettari di bosco ogni anno. Alle necessità puramente estrattive andrebbe aggiunto poi il legname per assicurare le gallerie, quello per i forni fusori, quello necessario agli agricoltori che nutrivano tutto il villaggio minerario. Anche con un ritmo naturale di rigenerazione piuttosto elevato del bosco, questo tipo di “raccolto” può essere sostenuto da una superficie boschiva di non meno di 518 ettari.

La Sardegna – oltre al suo precedente commercio in ossidiana di Monte Arci e di selce dell’Anglona – possiede una tradizione metallurgica che data dal IV millennio. Le vene metallifere sfruttate in epoche storiche (rame, galena argentifera etc.) si trovano sparse dal sud ovest, al centro al nord dell’isola: nell’Iglesiente (es.: Monte Rosas), nella Barbagia (Funtana Raminosa) e presso Alghero (Calabona).
Esistono numerose prove dell’uso di piombo per riparare manufatti ceramici e per fissare i bronzetti alle basi di pietra. In varie località sono stati rinvenuti materiali compatibili con attività di scavo, di estrazione, di fusione, di veicolazione e stampo dei metalli, con tracce di metallo in frammenti di terracotta . Sempre in Sardegna, fino a 3000 anni dopo l’età del bronzo, i pisani del 1300 ci hanno lasciato testimonianze (materiale combusto nelle gallerie di San Giovanni) dei metodi di scavo: si accendeva un grande fuoco, che rendeva incandescente la parete di roccia; quindi la si raffreddava con secchiate d’acqua, in modo che lo shock termico la rendesse più facilmente aggredibile dai picconi.

È facilmente comprensibile che tutte queste attività sarde richiedenti legno, abbiano prodotto, col tempo, una drastica riduzione delle superfici boschive ed un enorme aumento dei costi di produzione. A livello delle Alpi, con una densità minore di popolazione, il problema sarà stato di minore entità. Le isole e le coste del mediterraneo, per via del clima e dell’ambiente tipico della regione – una lunga stagione secca, piogge torrenziali su pendii privati d’alberi – ha determinato la scomparsa dei boschi e l’erosione dello strato di terreno fertile. I virgulti non riescono ad attecchire naturalmente nel suolo arido dilavato, talvolta neanche con l’aiuto della piantumazione assistita dall’uomo.

Nell’isola di Cipro, le scorie tuttora presenti depongono per una produzione di circa 200.000 tonnellate di rame e questa produzione – si calcola – avrà chiesto il sacrificio di 200 milioni di alberi di pino, il che equivale a circa 16 volte la superficie totale dell’isola . Ci si sente autorizzati a credere che l’aspetto globale dell’isola sarda fosse probabilmente molto più dolce e curvilineo, più verde e boscoso e con molto meno numerose asperità dovute a picchi rocciosi, oggi creduti scoperti da sempre.
Nessuno ha mai fatto il conto del volume di terra isolana che è andato perso in mare in qualche millennio, con questi complessi ma cronici procedimenti: ma basta guardare i calanchi che si formano dopo un solo grosso fortunale ed i fiumi di fango lunghissimi che macchiano l'acqua di mare, per rendersi conto del fatto che anche un singolo episodio "ruba" moltissimo suolo. Sicuramente, quindi, l'innalzamento della linea di costa per interramento erosivo di alcune zone costiere e di alcuni approdi naturali, con il successivo formarsi di zone palustri salmastre o semi salmastre malariche è da imputarsi anche a ciò.

Credo, insomma, che la trasformazione malarica sarda sia imputabile all'uomo per due motivi:
1) perché ce la portò - forse - essendone infetto, in uno degli sbarchi e
2) perché trasformò l'ambiente (prima molto più sano) in un ottimo ambiente ricettivo per la zanzara.







Modificato da - maurizio feo in data 02/10/2011 09:59:54

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jomaru
Salottino
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Inserito il - 02/10/2011 : 12:06:01  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Nessun fastidio per quanto mi riguarda, ma sappiamo entrambi quanto sia pericoloso deviare il ragionamento sui sentieri accidentati delle tracce archeologiche...

Propogno di seguito le leggi dell'ordinamento italiano che si occupano di carenza di G6PD:

il divieto di coltivazione di fave entro un certo limite dai centri abitati tramite ordinanza del Comune di residenza, l'esenzione dal ticket sanitario da parte di un Centro Accreditato ( codice esenzione RDG010- Malattie Rare - Anemie Ereditarie - Favismo ), la certificazione di non-idoneità al servizio militare, che è stata comunque superata dal Decreto Parisi (vedi sotto)

Divieto coltivazione fave
Si può richiedere, ai sensi della corrente normativa ( Art. 13 legge 833 del 23.12.1978 ; Art. 54 D. Lgs. 267 del 18.08.2000 ), un'ordinanza comunale nella quale si afferma che nel raggio di 300 metri dall'abitazione del soggetto affetto da carenza dell'enzima glucosio 6 fosfato deidrogenasi è fatto divieto di coltivazione di fave, e che questo divieto non ha scadenza fino a quando il soggetto affetto non cambi abitazione e che entro 10 gg dall'affissione dell'ordinanza tutti i proprietari dei fondi eliminino del tutto i tipi di coltura specificati.

Chi non osserva questa ordinanza costituisce reato ai sensi dell'art. 650 del codice penale e se non rispettato si può chiedere l'intervento della Polizia Municipale, della ASL, e dei Carabinieri per far togliere immediatamente la coltivazione.

Nel caso sia la ASL a non volersi esprimere, o il Sindaco a non voler emettere l' ordinanza, ci si deve rivolgere alla Magistratura.

Vedi un esempio di ordinanza comunale di Latina
Vedi un esempio di ordinanza comunale di Chioggia


Legislazione sanitaria e Guida all'esenzione


Leggi Forze Armate:
Legge per Non idoneità militare (Decreto Presidente della Repubblica 02/09/1985 Num. 1008, Art. 3) (in Gazz. Uff., 21 aprile, n. 92)
Decreto Parisi per l'assunzione dei volontari affetti da deficit di G6PD (Favismo): Il nuovo Decreto del Ministero della Difesa (30.8.2007).

Cliccando sul link sottostante potrete prendere visione dei testi legislativi e delle ordinanze comunali:

http://www.g6pd.org/favism/italiano...c?pgid=leggi







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maurizio feo
Salottino
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Inserito il - 02/10/2011 : 12:07:34  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Comunque, la genetica entra in tutti gli studi sulla malaria in Sardegna (ed anche fuori di essa, a dire il vero), perché la risposta immunologica al Plasmodio è figlia della composizione genica di ciascuna popolazione e la composizione genetica è spesso molto differente, tra una popolazione e l'altra... A parte gli studi dimostranti la grande "distanza genetica" esistente tra i Sardi e tutte le altre popolazioni del mondo, altri studi genetici si prestano a considerazioni di qualche interesse, anche per chi non sia esperto di genetica. In Sardegna si riscontra la frequenza più bassa del gene RH-negativo (20%) rispetto a tutte le regioni del Mediterraneo. Si ha, sorprendentemente, la più elevata frequenza mondiale del gene MNS*M (78%), oltre ad una frequenza unica del gene DIA2. Anche per l’HLA*18 la Sardegna presenta la più alta frequenza del mondo.

Per la Talassemia, la variante molecolare Beta39 è molto frequente sull’isola, mentre ovunque altrove è rara. Questa situazione è stata in qualche modo determinata da altri potenti fattori selettivi, che sono la migrazione e la deriva genetica, di cui ho scritto anche altrove, in questo forum.

Questo vale a dire che i Sardi, oggi, sono diversissimi da tutte le altre popolazioni circostanti (proprio tutte quelle esistenti nel mondo, non solo quelle che si affacciano nel mediterraneo). Ma comprensibilmente così diversi non lo sono stati sempre, bensì lo sono diventati, nel tempo, per effetto delle forze ambientali descritte, secondo precisi meccanismi, ben noti alla Genetica.
Tali meccanismi sono scientificamente accertati sull'isola.

E’ stato stimato che la popolazione Sarda del Paleolitico potrebbe essere stata composta soltanto da 700 – 1800 individui. Questo numero è (solo nei predetti limiti) opinabile e ad alcuni sembra troppo esiguo e frutto di speculazione dettata da motivi non scientifici.
In ogni caso, il numero deve assolutamente essere stato molto ridotto, tanto da permettere alla deriva genetica di produrre le enormi differenze in frequenza genica che noi osserviamo oggi. Su popolazioni numerose, infatti, tali fenomeni genetici non riescono ad agire e non si verificano.
Per i Neolitici ed i Nuragici dobbiamo supporre meccanismi analoghi ed anche per loro non si può del tutto escludere un ridotto numero di fondatori.
Comunque sia, anche per quanto riguarda la risposta alla malaria, i Sardi producono e possiedono una variante molecolare antigenica differente e del tutto distintiva, ripetto alle altre popolazioni che furono esposte al medesimo antigene....
Diversa, naturalmente, è la questione della carenza enzimatica G6PDH e degli effetti collaterali della stessa: gli effetti esistono e si esprimono solamente sul piano biochimico e metabolico, pur riconoscendo la malattia una causa prima genetica...
Queste asserzioni non sono ipotesi, ci tengo a ripetere, anche se vengono spesso accolte negativamente come tali da chi non mastica di genetica: ma sono controllabili presso qualunque genetista di popolazione, in fondo....

Ma credo - infine - che tutte le notizie che stai fornendo siano estrememente interessanti: io stesso lo ho constatato nel caso di alcuni miei conoscenti sardi, che erano stati ricoverati per una reazione emolitica, molti anni fa. Non erano a conoscenza di tutta la legislazione in merito e si sono scaricati l'elenco che tu fornisci.
Stai svolgendo un servizio sociale!
M







Modificato da - maurizio feo in data 02/10/2011 12:20:10

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jomaru
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Inserito il - 02/10/2011 : 16:06:02  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di jomaru Invia a jomaru un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Internet è una grande risorsa e credo che ognuno di noi possa trarne giovamento se ha in cuor proprio il desiderio sincero di dare e di ricevere: vedere, o meglio, leggere le insulse schermaglie così frequenti sui forum, ti fa venir voglia di andare oltre e preferire il dialogo con quattro persone educate, piuttosto che la rissa con 10 imbecilli...

Io sono "iscritto al club mondiale" dei carenti di G6PD e ritengo un dovere, nei miei e nei confronti di chi mi vuole bene, cercare attraverso la conoscenza di assottigliare il più possibile il rischio di incorrere in spiacevoli conseguenze. Se poi, il forum che ci ospita, può essere l'agorà virtuale dove discutere e condividere, non posso che esserne felice.







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