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Turritano

Utente Virtuoso




Inserito il - 19/10/2010 : 00:06:41  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Siccome il problema dell'origine della lingua Sarda è molto sentito e, ogni tanto, salta fuori in altre discussioni, mi sembra il caso di aprire un apposito tread, dove discuterne più in particolare, confrontando varie teorie e analizzando le loro basi sia dal punto di vista storico che linguistico
Turritano






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 Regione Sardegna  ~ Prov.: Sassari  ~ Città: Sassari  ~  Messaggi: 4480  ~  Membro dal: 13/01/2008  ~  Ultima visita: 04/10/2016

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robur.q

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Inserito il - 19/10/2010 : 21:14:05  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
speriamo di fare una discussione interessante!!!!
da dove iniziamo?
dalle teorie tradizionali, poi con quelle eretiche ed infine con quelle.....stellari?
che dite, partiamo dall'indoeuropeistica e romanistica tradizionale?
Antonio ha già commentato su un'altro tread, con qualche eccesso ma, per me, largamente condivisibile!






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Turritano

Utente Virtuoso




Inserito il - 20/10/2010 : 00:23:12  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sì, infatti, l'intenzione è quella di spostare qui il discorso intrappreso in un tread del tutto limitato.
Cominciamo:

Robur q ha scritto:
L'olandese è un dialetto basso-germanico, come tutti i dialetti della Germania settentrionale, nè più ne meno: solo è la lingua di un paese che si è staccato dall'Impero e ha costituito la sua identità più sul fattore politico e religioso che su quello linguistico;
il maltese è un dialetto arabo di tipo tunisino con moltissime parole prese a prestito dal siciliano: ma Malta è un paese cattolico da sempre, non islamico, e non sente grandi legami col mondo arabo. Anche in questo caso l'identità è basata più sul fattore storico e religioso che su quello linguistico.
Riguardo ciò che scrive Peppe, è curioso che dica che il sardo non è prettamente neolatino se da tutti gli studiosi di romanistica è stato sempre consierato la lingua neolatina più vicina al latino!! Non si può dire tutto e il contrario di tutto, soprattutto se il "tutto" è stato detto dai più dotti studiosi di linguistica!
La TdC: Alinei suggerisce un parallelo tra le culture archeologiche preistoriche e le culture linguistiche: attribuisce l'area di diffusione del "Cardiale" al gruppo linguistico che lui definisce italide, di cui il latino classico sarebbe una varietà: non mi sembra una teoria campata per aria; difficile credere in effetti ad una sostituzione completa del latino sulle lingue dei paesi conquistati.







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 Regione Sardegna  ~ Prov.: Sassari  ~ Città: Sassari  ~  Messaggi: 4480  ~  Membro dal: 13/01/2008  ~  Ultima visita: 04/10/2016 Torna all'inizio della Pagina

Turritano

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Inserito il - 20/10/2010 : 00:23:37  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
“L'olandese è un dialetto basso-germanico…”, bene, ma chi dice il contrario? Solo che tu lo chiami “dialetto”, di fatto è una lingua. Infatti, come tu saprai, un dialetto può diventare lingua ufficiale per ragioni politiche, e qui siamo d’accordo: succede da per tutto: in Francia come in Spagna, in Gran Bretagna, ovunque. Comunque, è un “dialetto” che si differenzia da altri della vicina Germania. Nel Belgio delle Fiandre si parla una lingua pressoché simile, pur con le dovute, solite differenze fra paese e paese, fra città e città: il Fiammingo, tanto è vero che in quella parte del Belgio la lingua ufficiale è l’Olandese (mentre nel Belgio Vallone la lingua ufficiale è il Francese)
Il maltese è una derivazione dell’arabo tunisino (a sua volta formato da diversi dialetti) con forti infiltrazioni siciliane (io non le definirei “prestiti”). Questo è un esempio tipico delle contraddizioni intrinseche nella teoria di Alisei: certamente nell’antichità, diciamo preromana, la lingua di Malta non poteva essere l’Arabo, in nessuna delle sue varianti, perchè gli arabi hanno cominciato la loro espansione solo intorno al 600 d.C.
“difficile credere in effetti ad una sostituzione completa del latino sulle lingue dei paesi conquistati”.
Bisogna intendersi su “sostituzione completa”. Se per completa intendi parola per parola, frase per frase, sintassi e frasi idiomatiche, sono d’accordo con te, anzi direi di più: è impossibile.
Ma se invece intendi “completa in tutto il territorio conquistato”, siamo in evidente contrasto, infatti si sa che una lingua evoluta, di una cultura e tecnologia superiore, tanto più se espressione di una formidabile potenza militare, diventa senza imposizione, la lingua parlata non solo dalle popolazioni conquistate, ma anche di quelle confinanti.
Turritano






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Turritano

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Inserito il - 20/10/2010 : 00:31:39  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Antonio ha scritto:
"Caro Turritano
la teoria di Alinei non è derivata dall'Angius, ma ci è arrivato per conto suo,
Pittau non ha mai detto che l'etrusco derivi dal sardo, semmai ha detto che sono imparentati,
sulla attendibilità della TDC Alinei non ha dubbi,
la tdc è universalmente accettata per le lingue altaiche ed uraliche,
è avversata duramente in ambito indoeuropeo perchè pone in crisi proprio
l'indoeuropeo e tutta la linguistica romanza,
l'indoeuropeo infatti non ha basi scientifiche ma è una invenzione del romanticismo tedesco che voleva nobilitare le
proprie origini ariane (con tutto quello che è successo dopo e lasciamo perdere perchè la discussione ci porterebbe lontano),
gli studi sull'indoeuropeo non hanno portato da nessuna parte ma danno da mangiare a centinaia
di culi di pietra che non hanno alcuna intenzione di mollare l'osso,
indipendentemente dall'Alinei, già il prof. Semerano aveva dimostrato l'inconsistenza dell'indoeuropeo,
la linguistica romanza si basa su assunti indimostrati che si affidano all'ipse dixit del culo di pietra di turno,
non si capisce perchè i dialetti italiani siano così diversi tra di loro nonostante il latino sia stata lingua di stato per più di 700 anni,
non si capiscono un mucchio di altre cose di cui potresti renderti conto leggendo qualcosa di Alinei...
ed infine
non capisco perchè prima dei romani i sardi avrebbero dovuto parlare lingue di popoli distanti migliaia di
km e non una lingua affine alle popolazioni limitrofe.
Nell'antichità il mare non separava,
univa.

Salude.






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Turritano

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Inserito il - 20/10/2010 : 00:32:51  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Alinei ci sarà pure arrivato per conto suo, però questa teoria era già stata espressa dall’Angius, quindi il senso del discorso non cambia.
Pittau “non ha mai detto che l'etrusco derivi dal sardo”?, l’ha detto, l’ha detto (io l’ho anche conosciuto personalmente e ci ho parlato più volte), basando tale teoria, oltreché su termini comuni nelle lingue dei due popoli, sui frequentissimi rapporti fra la gente Etrusca e quella Sarda. Pittau fa propria la teoria secondo cui i Sardi provengono dalla Lidia e, dopo essersi stabiliti in Sardegna, una parte si trasferì in Etruria dove la cultura nuragica si evolse per conto suo. Teoria che a me non mi convince del tutto.
Non mi sembra che la TDC sia avversata “perché pone in crisi proprio
l'indoeuropeo e tutta la linguistica romanza”. Certo, qualcuno può cercare di ironizzare gli studiosi sostenitori dell’Indoeuropeo col gentile epiteto di “culi di pietra”, ma questi hanno fondati argomenti linguistici in loro sostegno, ed è questo che conta. Se poi questa teoria del gruppo Indoeuropeo da fastidio a persone politicamente sensibili, non è un buon motivo per avversarla.
Qualcosa di Alisei l’ho già letta, senza spettare il tuo invito e, ripeto, non mi convince per niente. Molti presupposti mi sembrano forzati e storicamente infondati.
La “linguistica Romanza” (direi “Lingue Romanze”), sono una realtà tutt’ora esistente e sotto gli occhi (e le orecchie di tutti), non mi sembra che si basi su “si basa su assunti indimostrati” ma logici e fondati su solide basi.
“non si capisce perchè i dialetti italiani siano così diversi tra di loro nonostante il latino sia stata lingua di stato per più di 700 anni”?
E invece, chi vuol capire, capisce:
1 – le lingue si evolvono, o comunque mutano nel tempo. Questo accade dappertutto, tanto è vero che ogni paese ha un linguaggio un pò diverso da quelli circostanti, seppure appartenenti allo stesso “gruppo linguistico” e, con la distanza, la morfologia geografica e le influenze storiche che si susseguono, tendono ad accentuarsi sempre di più
2 – I dialetti italiani sono così diversi tra loro anche perché il latino si è sovraposto a lingue preesistenti. Lingue che potevano essere simili a quella latina o anche molto differenti.

3 – Latino “lingua di Stato per 700 anni”? e che vuol dire! Allora mica c’era una cultura e alfabetizzazione diffusa come ai nostri tempi, non c’erano giornali e TV, ma la cultura era appannaggio di pochi, pochissimi elementi differenze tra paese e paese, fra zona e zona, come già detto, sono sempre esistite, partendo da lingue più antiche e continuando nel tempo.
Ed infine … veniamo a noi, cioè ai Sardi, che è quello che più ci interessa.

“non capisco perchè prima dei romani i sardi avrebbero dovuto parlare lingue di popoli distanti migliaia di km e non una lingua affine alle popolazioni limitrofe. Nell'antichità il mare non separava, univa.”

Rispondo: perché i Sardi antichi non provenivano dall’Italia ma da altre sponde. L’Italia era (ed è) geograficamente, materialmente più o meno unita, ma dal punto di vista umano, era un crogiolo di popoli di origine diversa, quindi non deve sorprendere che parlassero lingue diverse, le lingue preromane. Alcune potevano essere molto simili al Latino, altre molto distanti.
A maggior ragione le lingue dei Sardi antichi, anteriormente alla conquista e dominazione romana, essendo la Sardegna geograficamente ben lontana dall’Italia (distanza più o meno uguale a quella che la separa dall’Africa, non tanto minore dalla distanza fra Francia e Spagna) dovevano essere ben lontane da quelle parlate in Italia. Tutto questo non è campato in aria ma è avvalorato dalla Storia e dalla genetica moderna.
Inoltre, concordo con te che “nell'antichità il mare non separava, univa”. Tuttavia ti faccio umilmente osservare che unisce anche oggi, e non solo nell’antichità, ma unisce in maniera diversa dalla terraferma. Inoltre se è vero che il mare unisce, unisce non in una sola direzione ma in tutte le direzioni. Infatti i Sardi navigavano in tutto il Mediterraneo: verso l’Italia sì, ma ancora di più verso le altre isole, con l’Africa e il Medioriente.
Salude a tie
Turritano






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robur.q

Utente Senior



Inserito il - 20/10/2010 : 07:57:39  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Turritano ha scritto:

“L'olandese è un dialetto basso-germanico…”, bene, ma chi dice il contrario? Solo che tu lo chiami “dialetto”, di fatto è una lingua. Infatti, come tu saprai, un dialetto può diventare lingua ufficiale per ragioni politiche, e qui siamo d’accordo: succede da per tutto: in Francia come in Spagna, in Gran Bretagna, ovunque. Comunque, è un “dialetto” che si differenzia da altri della vicina Germania. Nel Belgio delle Fiandre si parla una lingua pressoché simile, pur con le dovute, solite differenze fra paese e paese, fra città e città: il Fiammingo, tanto è vero che in quella parte del Belgio la lingua ufficiale è l’Olandese (mentre nel Belgio Vallone la lingua ufficiale è il Francese)
Il maltese è una derivazione dell’arabo tunisino (a sua volta formato da diversi dialetti) con forti infiltrazioni siciliane (io non le definirei “prestiti”). Questo è un esempio tipico delle contraddizioni intrinseche nella teoria di Alisei: certamente nell’antichità, diciamo preromana, la lingua di Malta non poteva essere l’Arabo, in nessuna delle sue varianti, perchè gli arabi hanno cominciato la loro espansione solo intorno al 600 d.C.
“difficile credere in effetti ad una sostituzione completa del latino sulle lingue dei paesi conquistati”.
Bisogna intendersi su “sostituzione completa”. Se per completa intendi parola per parola, frase per frase, sintassi e frasi idiomatiche, sono d’accordo con te, anzi direi di più: è impossibile.
Ma se invece intendi “completa in tutto il territorio conquistato”, siamo in evidente contrasto, infatti si sa che una lingua evoluta, di una cultura e tecnologia superiore, tanto più se espressione di una formidabile potenza militare, diventa senza imposizione, la lingua parlata non solo dalle popolazioni conquistate, ma anche di quelle confinanti.
Turritano

Il punto è, Turri, che il sardo ha il sistema morfologico totalmente latino, la fonetica (soprattutto vocalica) totalmente latina, la stragrande maggioranza del lessico latina. Della o delle lingue precedenti apparentemente rimane pochissimo: buona parte della toponomastica e poco lessico che indica qualche pianta o animale!
La sostituzione totale di una lingua su un'altra non è un fenomeno frequente, tanto più che in Sardegna avrebbe interessato l'intero territorio, anche i paesini più isolati: anche se i romani effettuavano dei veri genocidi (ma allora si avrebbe la sostituzione del patrimonio genetico, che non è), che si sono installati con distaccamenti militari in tutto il territorio, la completa sostituzione della lingua senza un vera ibridazione (il sardo non è un creolo nè un pidgin), crea una serie enorme di problemi.
La TDC afferma un legame con le culture preistoriche: dove c'è un'identità culturale, corrisponde un'identità linguistica. Il sardo (antico e moderno) sarebbe una lingua "sorella" del latino. Per me è un'ipotesi più probabile della completa sostituzione di lingue "bascoidi"!
Per ciò che riguarda l'indoeuropeistica è financo ridicola l'ipotesi della conquista e di tutta la popolazione (eccetto i baschi) dell'intero continente nell'età del bronzo da parte di una tribù dell'Asia centrale: l'archeologia esclude nella maniera più assoluta una irruzione violenta, è conferma invece una sostanziale continuità delle comunità umane dal palelitico a tutt'oggi; questo è il vero problema: la continuità archeologica!!
Io ho letto i libri di Alinei, molto incuriosito, quest'estate: quasi 2000 pagine!!; è necessario leggerlo per l'intero per individuarne le criticità.






Modificato da - robur.q in data 20/10/2010 07:59:46

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antonio

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Inserito il - 22/10/2010 : 08:47:32  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di antonio Invia a antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Caro Turritano,
ti ringrazio per avermi reso l'onore di citare ampiamente un mio commento postato altrove in questo forum; aggiungo inoltre che su Pittau hai ragione tu.
Veniamo al merito della discussione.
L'affermazione che i sardi preromani non parlassero una lingua italica-italide tradisce molta ideologia;
non è dato sapere quale fosse la loro lingua ne quali fossero le lingue di riferimento.
Si possono solo fare supposizioni, ma su queste non è lecito costruire teorie.
Ipotizzare il sardo preromano che fosse del gruppo italide ha il vantaggio di essere la soluzione più economica e meno fantasiosa.
La linguistica romanza costruisce, al contrario, teorie su assunti non dimostrati, tra i quali:
1- Che la romanizzazione comportasse anche alla latinizzazione
2- Che i romani imponessero la loro lingua
3- Che le lingue nazionali cosiddette neolatine nascessero dal volgare latino
4- Che la loro differenziazione fosse dovuta ai dialetti locali preesistenti (il sostrato) e che ciò sia avvenuto alla disgregazione dell’impero.


Per il punto 1 faccio notare che: Grecia, Anatolia, Siria, Palestina, Israele,Egitto, Libia, Tunisia, Svizzera, Germania, Inghilterra paesi Baschi e Tracia hanno fatto parte per più o meno lungo tempo dell’impero ma non hanno subito latinizzazione; la Dacia (Romania) che ha subito la dominazione per soli 70 anni invece è stata latinizzata.
Sarebbero quindi state latinizzate solo Italia Francia Spagna e parte della Dalmazia: con molta semplicità Alinei fa notare che queste, insieme alla Dacia, costituiscono le aree di insediamento della cultura detta della ceramica impressa cardiale (neolitico?).
Punto 2. Che i romani imponessero la loro lingua è una invenzione bella e buona. Sarebbe anche interessante sapere quale, visto che nella sola Roma si parlavano tre o quattro versioni diverse di latino, nei dintorni rurali poi ognuno parlava la sua variante. Lasciando perdere il latino colto, quello che si insegna oggi a scuola per intenderci, che era riservato a pochissimi cultori, il resto non aveva certo la parvenza di quello che conosciamo.
I romani de roma non declinavano, non coniugavano, semplificavano e modificavano secondo la classica legge dell’economia che regola tutti i linguaggi umani. Più ti allontanavi da Roma più tutto si diversificava.
Si dice che fossero gli eserciti che trasmettevano il linguaggio alle province: ma i soldati provenivano dalle province, c’erano intere legioni straniere, quasi mai erano laziali o di roma e facevano fatica a capire quelli de roma.
Durante il periodo imperiale molti imperatori venivano dalle province dell’impero: ad uno che veniva da più vicino, non mi ricordo il nome, ma era dell’Italia centrale, dovettero fargli un corso accelerato di latino perché si vergognavano di come parlava. Un imperatore durante l’impero!!
Puoi capire come parlassero altrove. E come avessero tutta sta voglia di imporlo agli altri.
Nessuno nega che ci sia stata una influenza latina sulle lingue locali ( Alinei parla di ibridazione) talvolta anche molto significativa soprattutto nei grandi ceti urbani (ma trascurabile nelle aree rurali e periferiche) ma affermare che le lingue locali siano sparite per lasciar posto al latino contrasta non solo con il buon senso ma con l’esperienza (interessante a proposito del “contatto linguistico” la lettura di “Sardegna tra tante lingue” di Bolognesi che si trova in pdf su sardegna digital library).
Il punto 3 ha creato qualche problema agli stessi romanisti; l’ipotesi originaria era che le lingue romanze discendessero direttamente dal latino classico, ma poi devono essersi resi conto che non lo parlavano neanche a Roma e pertanto hanno corretto il tiro: è diventato il volgare latino.
Quale volgare latino? Parlato da chi?
Mah…
hanno ipotizzato che fosse quello militare; siccome ciò non spiegava le notevoli incongruità lessicali tra le varie lingue neolatine, supposero che ogni lingua traesse caratteristiche specifiche dal periodo storico della conquista militare della regione. Cioè supposero che i militari parlassero un latino diverso nei vari periodi dell’impero e quello trasferivano alle province assoggettate. Ma con questa ipotesi non sono venuti a capo di nulla, probabilmente perché il latino militare differiva dal contemporaneo che si parlava a Roma e venivano a mancare riferimenti certi. Questa teoria non riusciva inoltre a spiegare come mai i dialetti della barbagia, che si suppone latinizzata nel 200-300 d.c. (leggere a proposito la divertente spiegazione di Pittau), avesse le caratteristiche del latino arcaico e non quelle del tardo impero. Credo che abbiano abbandonato l’argomento.
L’ipotesi di Alinei è che le popolazioni assoggettate abbiano continuato a parlare i loro dialetti, che questi siano stati influenzati dalla presenza romana, soprattutto nei vocaboli innovativi (amministrativi, tecnici , culturali) ed in quelli che veicolano concetti astratti ( nessuno nega che Roma abbia apportato innovazione tecnica e culturale) ma che abbiano conservato gran parte della terminologia preromana.
Per il quarto punto faccio notare che la linguistica romanza fa rientrare dalla finestra quello che ha cacciato dalla porta: se alla dissoluzione dell’impero il sostrato ha condizionato la formazione delle lingue romanze significa che nei 400 anni dell’impero non è mai sparito.

E i dialetti sardi? Spariti e riapparsi pure loro?

Salude












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robur.q

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Inserito il - 22/10/2010 : 12:54:52  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Condivido gran parte delle tue affermazioni Antonio, però non sottovaluterei troppo la romanizzazione linguistica.
Soprattutto nelle province occidentali, che avevano uno sviluppo urbano e economico-sociale limitato rispetto alle province orientali, la "globalizzazione romana" deve avere avuto anche una forte influenza linguistica livellatrice sulle varianti "italidi" già presenti, e costretto le altre lingue in territori via via più ristretti, tanto più che talvolta le conquiste avvenivano con un vero sterminio delle popolazioni autoctone, con l'esproprio delle terre e la distribuzione ai veterani.
Cosa che generalmente non è avvenuta in oriente: basti pensare che l'Egitto è stato conquistato con una sola battaglia, mentre le guerre galliche sono durate dieci anni!
E resta comunque il fatto, indiscutibile, che la maggior parte del lessico di base delle lingue neolatine ha precisi riscontri nel latino classico! E che altre lingue, come greco e albanese, hanno numerosissimi prestiti latini, tanto che nel passato qualcuno perfino parlò, per l'albanese, di lingua "quasi romanza".






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antonio

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Inserito il - 22/10/2010 : 15:17:57  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di antonio Invia a antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
caro robur,
apprezzo la prudenza con la quale affronti argomenti che pongono in discussione convinzioni radicate da tempo; hai sicuramente letto Alinei e pertanto puoi confermare quanta importanza egli dia all'influsso romano sia in termini di civiltà che di linguaggio.
Concordo inoltre con te che gran parte dei termini correnti nei vari dialetti, soprattutto italiani, riflettano l'influenza del latino sia classico che volgare.
La teoria della continuità non pone in discussione questi aspetti.
Sostiene semplicemente che una parte del sostrato continua ad esistere nelle lingue odierne quasi inalterato, non c'è mai stata discontinuità (un intero cap del primo volume di "Origine delle lingue europee" è dedicato alla critica del catastrofismo) e l'unica vera legge che condiziona una lingua è quella della conservazione.
L'aver negato questa realtà ha fortemente condizionato la linguistica romanza;
facendo di ogni erba un fascio non è riuscita a distinguere quali termini latini erano in realtà italidi e quali invece si erano sovrapposti con la romanizzazione.
Poichè sembravano tutti latini ( ed in realtà avevano una comune radice italide) sono stati tutti inglobati nella presunta latinizzazione.
Sono convinto che in Sardegna questo fenomeno sia stato ancora più accentuato da aspetti socio-economici, culturali e geografici.

Gran parte dei termini in uso corrente che vengono di volta in volta attribuiti ai vari superstrati appartengono in realtà al sostrato, ma la linguistica romanza non li ha evidenziati perchè è inibità dal dogma della discontinuità.

Il campidanese, logudorese e gallurese non sono forse la continuazione delle lingue che si parlavano precedentemente alla romanizzazione?
Quando mai la Wagneriana influenza pisana avrebbe potuto modificare la pronuncia di nuraghe in nuraxi?
E la frottola che il logudorese sia più sardo del campidanese non è forse conseguenza dello stesso errore di fondo?

salude.







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robur.q

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Inserito il - 22/10/2010 : 15:57:08  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di robur.q Invia a robur.q un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
concordo ancora tutto per tutto.
Esiste però un'obiezione assai corposa almeno per ciò che riguarda la Sardegna: gran parte della toponomastica sarda, in particolare delle zone interne, non si è lasciata finora inquadrare in nessun gruppo linguistico conosciuto! nemmeno basco o caucasico o vattelapesca.
Tutti coloro che se ne sono occupati finora non ne hanno cavato un ragno dal buco (ti segnalo Wolf e Paulis se già non li conosci). E' probabile che si siano lasciati influenzare dal dogma del "sostrato mediterraneo", ma è evidente che mentre il lessico ordinario ha quasi completamente un referente latino, il lessico toponomastico no. Nelle zone interne quasi il 50% rimane opaco. Si sa che la toponomastica è uno dei settori più conservativi della lingua, ma a linguisti esperti (Wagner per primo) non sarebbero sfuggiti i collegamenti col lessico indoeuropeo, credo...
p.s. peraltro la teoria della continuità non negherebbe l'isolamento genetico se il grosso del popolamento è avvenuto nel paleolitico superiore o addirittura prima: vorrei sentire in proposito il parere di Maurizio Feo






Modificato da - robur.q in data 22/10/2010 16:05:15

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antonio

Utente Normale


Inserito il - 23/10/2010 : 15:26:26  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di antonio Invia a antonio un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
si, il parere di Maurizio Feo sarebbe interessante non solo per la competenza disciplinare ma anche perchè oggettivamente immune da preconcetti ideologici (volenti o nolenti noi sardi siamo ancora condizionati da un approccio identitario agli argomenti culturali- un po' di nazionalismo non guasta ma talvolta distorce la visione).
La toponomastica è comunque un campo minato: si puo dimostrare tutto ed anche il suo contrario. Pittau trova ovunque prove inconfutabili per la sua tesi lidica, Areddu per quella illirica, Dedola per quella accadico semitica e tanti altri ognuno con le sue buone ragioni.

Una volta io stesso credevo che il nome della Gallura fosse Celtico fondando il mio ragionamento sulla nota equivalenza consonantica tipica delle lingue europee di
W -> V -> B-> G(K)
che mi consentiva il collegamento
Galles (Wales) -> Gallia-> Galizia -> Baleari -> Gallura

poi mi sono ricreduto pensando che provenisse da Fretum Gallicum che sarebbe lo stretto di Bonifacio come lo chiamavano i Romani,
poi ho letto l'articolo di uno studioso che la poneva in relazione con il semitico Gal - Galil (altura, monte) da cui anche Galilea.
Ed infine c'erano anche le popolazioni dei Gallilensi che occupavano la Barbagia centrale e che sicuramente potevano vantare i loro diritti.

Ho lasciato perdere.

Salude







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Turritano

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Inserito il - 24/10/2010 : 00:55:46  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Turritano Invia a Turritano un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
antonio ha scritto:

........
L'affermazione che i sardi preromani non parlassero una lingua italica-italide tradisce molta ideologia;
non è dato sapere quale fosse la loro lingua ne quali fossero le lingue di riferimento.
Si possono solo fare supposizioni ..............


Questo a tuo dire (e già ci da un’idea del tuo punto di vista: “sempre contro ogni ideologia”, specialmente contro quelle che non ti fanno comodo). Comunque smentisco, da “faccia di bronzo” (eufemismo) qual sono (ma certamente le mie teorie sulla origine delle lingue "romanze" e del Sardo in particolare, non mi hanno mai alcun vantaggio economico), che il mio punto di vista sia influenzato da qualsiasi ideologia, ma bensì da mera logica fondata sulle mie conoscenze ed esperienze. Che sia condiviso, o meno, da altri mi lascia del tutto indifferente. Ognuno è libero di avere la sua opinione e nessuno deve essere criminalizzato o ridicolizzato per questo, da chi la pensa diversamente: rispetto prima di tutto.

Ipotizzare il sardo preromano che fosse del gruppo italide ha il vantaggio di essere la soluzione più economica (?) e meno fantasiosa

questo è un tuo punto di vista (e di chi la pensa come te). Che sia la soluzione più “economica” (?) nel senso di “più semplice” potrebbe anche essere, ma non è detto che le soluzioni più semplici siano quelle più vere. “Meno fantasiosa”?, a me sembra più fantasiosa e contestabile di quella che vuole il sardo preromano, non appartenete al gruppo italico.
“Si possono solo fare supposizioni, ma su queste non è lecito costruire teorie”,
che siano solo supposizioni lo dici tu. È vero che non è dato sapere (con assoluta certezza) quale fosse la loro lingua, né quali fossero le lingue di riferimento, ma questo vale anche per la teoria (o supposizione?) della appartenenza del Sardo preromano ad un ipotetico gruppo italico.

Tu sostieni:
La linguistica romanza costruisce, al contrario, teorie su assunti non dimostrati, tra i quali:
1- Che la romanizzazione comportasse anche alla latinizzazione
2- Che i romani imponessero la loro lingua
3- Che le lingue nazionali cosiddette neolatine nascessero dal volgare latino
4- Che la loro differenziazione fosse dovuta ai dialetti locali preesistenti (il sostrato) e che ciò sia avvenuto alla disgregazione dell’impero
".

E chi può, con certezza, smentirlo? Non basta qualche esempio preso qua e là (che d’altronde potrebbe anche essere letto al contrario). Io ne potrei fare almeno altrettanti per mettere legittimamente in discussione la teoria di Alinei.
Allora rispondo, anch’io punto per punto:

1 – Non tutte le lingue dei popoli dominanti si impongono sui popoli dominati, perché ciò succeda occorrono diverse ……. Per esempio il popolo dominante deve avere (oltre che una superiore potenza militare) una cultura, una tecnologia più avanzata, che la dominazione sia costante per un tempo non trascurabile, rapporti commerciali e culturali prolungati e continui. Allora, senza nessuna imposizione, quella lingua pian piano si infiltra naturalmente nel sustrato precedente, fino a sostituirlo quasi integralmente, pur con relitti della lingua soccombente, che rimangono come localismi, pronunzia e, soprattutto, nella toponomastica. La Grecia? Non ha perso la sua lingua sotto la dominazione romana, proprio perché aveva una cultura superiore a quella dei “conquistatori”. Semmai sono stati i romani ad assorbire come spugne la cultura greca ed integrarla con la loro. A proposito esiste un detto latino che dice più o meno così:”I Greci conquistati, conquistarono i conquistatori”. Tutti gli esempi che tua hai fatto, citando “Paesi” come Anatolia, Libia e Tunisia,in favore della teoria Alisei possono essere ribattuti uno a uno e rivoltarli come un guanto per dimostrare l’inconsistenza e l’inattendibilità della teoria della teoria dell’Alisei. Non lo faccio per brevità, ma mi riservo di farlo in futuro.

2 - Vedi punto uno.
Per il resto, anche qui mi riservo di commentare l’importanza dei soldati romani “non de Roma”, nella esportazione ( e non “imposizione) della lingua latina nelle province dell’Impero.

3 – “ha creato qualche problema agli stessi romanisti; l’ipotesi originaria era che le lingue romanze discendessero direttamente dal latino classico, ma poi devono essersi resi conto che non lo parlavano neanche a Roma e pertanto hanno corretto il tiro: è diventato il volgare latino
L’ipotesi “originaria” della discendenza diretta dal latino classico resta in piedi, e non è contraddetta dal fatto “che non lo parlassero (più) neanche a Roma”. Faccio osservare, sommessamente, che tutte le lingue si “evolvono” nel tempo, più o meno rapidamente, influenzate soprattutto da mutamenti sociali ed economici e dagli avvenimenti storici: è un fenomeno universale, anche ai giorni nostri.

4 – Anche qui riporto integralmente, per un breve commento quanto da te scritto: “faccio notare che la linguistica romanza fa rientrare dalla finestra quello che ha cacciato dalla porta: se alla dissoluzione dell’impero il sostrato ha condizionato la formazione delle lingue romanze significa che nei 400 anni dell’impero non è mai sparito

A me sembra che questa affermazione (o interpretazione) sia una evidente, frettolosa forzatura. Perché? Per non appesantire ulteriormente il discorso, rimando a quanto da me scritto in precedenza (vedi, per esempio, il punto 3), sempre riservandomi all’occorrenza, di precisare meglio il concetto in un secondo tempo.
Turritano






Modificato da - Turritano in data 24/10/2010 01:02:57

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Le dominazioni passano ... i Sardi restano!

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andromeda

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Mi complimento con tutti voi, ma siete esperti di storia della lingua sarda e in generale di filologia romanza?







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madalina

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Molto logico e vero quello che dice Antonio, condivido le sue affermazioni. C'è molto da scoprire su questo campo.





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robur.q

Utente Senior



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andromeda ha scritto:

Mi complimento con tutti voi, ma siete esperti di storia della lingua sarda e in generale di filologia romanza?



grazie Andromeda
siamo esperti in tuttologia applicata con specializzazione in onnipotenziologia
veniamo ai punti in questione, cominciando dal secondo:
i romani non imponevano certo la loro lingua, ma è evidente che la "globalizzazione romana" comportava un certo grado di romanizzazione linguistica, la latinizzazione, in grado però diverso da provincia a provincia: in tutta la parte orientale dell'impero la lingua franca era e rimase il greco (che la classe dirigente romana conosceva molto bene), ma rimasero assai vive anche le lingue locali: copto, aramaico ecc; la latinizzazione si limitò ad un certo numero di prestiti, soprattutto in greco;
nelle province occidentali, che non conoscevano forme statuali e culturali evolute, sicuramente la latinizzazione fu più profonda, anche perchè le conquiste comportavano veri e propri genocidi, sia perchè le terre furono confiscate e poi cedute a colonie di cittadini romani: qua, le classi dirigenti furono con certezza profondamente latinizzate: una dimostrazione può essere data per esempio dalle lapidi in latino frequentissime nel Galles dopo il V secolo, in piena epoca anglo-sassone, che sono assenti in Inghilterra: la popolazione parlava e parla tuttora una lingua celtica, ma la classe dirigente si esprimeva, almeno per iscritto, in latino, anche se il controllo politico e militare di Roma non era più da un secolo!!
Possiamo fare un paragone con l'impero spagnolo: in alcune aree, con popolazione scarsa e poco evoluta, la popolazione indigena fu quasi annientata anche dalle malattie, la restante ispanizzata linguisticamente perchè immersa in una comunità composta perlopiù da immigrati spagnoli (Argentina, Cile, Uruguay, Colombia Venezuela, Cuba, Costa Rica ecc.); laddove invece erano presenti le grandi civiltà precolombiane (Messico, Perù, Bolivia, Guatemala), la ispanizzazione linguistica fu molto più lenta nonostante la completa cristianizzazione, e tutt'oggi vi sono in questi paesi compatte aree dove le lingue indigene sono la lingua madre della maggioranza della popolazione.
Ora, la linguistica romanza ha immaginato che le province occidentali più prossime all'Italia, quelle dove la civiltà agricola italiana potesse essere impiantata con successo (la famosa trilogia grano vino olio), furono latinizzate, quelle più lontane e meno integrate nel sistema economico romano lo furono molto meno, molto più superficialmente.
Questa teoria rimane la più logica, ma ha delle criticità importanti: la latinizzazione della Romania, occupata stabilmente solo circa un secolo e mezzo, la mancata latinizzazione della Britannia, occupata 4 secoli, dell'Africa settentrionale, dei territori della ex-Yugoslavia, della Pannonia (Ungheria), dell'Albania ecc.
L'evoluzione dal cosiddetto latino volgare nelle lingue romanze crea anch'essa notevoli difficoltà: il latino è una lingua più sintetica e fusiva ed ha un ordine delle parole diverso da tutte le lingue neolatine;
d'altro canto però anche le teorie dell'Alinei hanno dei grossi punti deboli: in tutte le aree che egli suppone di gruppo italide, non è rimasta traccia di queste lingue se non, come egli sostiene, nei dialetti moderni: non c'è traccia di fonti scritte in lingue italidi fuori dall'Italia, la toponomia rimane in larga parte opaca, le tracce italidi nei dialetti sono troppo "latine" per non essere imputate più.....economicamente al latino!
Insomma, io credo che l'ipotesi di Mario Alinei abbiano gettato la classica pietra nello stagno, stanno facendo riflettere e rivedere troppi dogmi dati per scontati.
Non si tratta di essere pro o contro, non siamo allo stadio nè in politica: la scienza ha bisogno di nuove idee, la maggior parte delle quali possono non essere corrette, ma hanno comunque e sempre il pregio di rimettere tutto in discussione: la scienza non è fede, non ha verità assolute, solo ipotesi più probabili, lasciando sempre la porticina del dubbio aperta.






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