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Nota Bene: Capoterra. Ugolino di Guelfo della Gherardesca, immortalato da Dant Alighieri nei canti XXXII e XXXIII dell'Inferno, ebbe per qulache tempo in feudo la villa di Capoterra, che però venne presto ceduta ai Genovesi, dopo la sconfitta patita dai Pisani alla Meloria nel 1284.



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 Giulia, Orosei, gli anni ottanta.

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Nigel Mansell Inserito il - 05/11/2007 : 23:20:05
Giulia, Orosei, gli anni ottanta.

Giulia, penso si chiamasse così quella canzone, d’altronde era l’unica parola che avevo capito, per il resto il testo mi era incomprensibile, l’inglese al tempo era per me una lingua sconosciuta.

I juke-box dei due bar della Marina, al di là delle acque del canale che portava al Cedrino, ultimo ostacolo da superare per raggiungere il mare, la sparavano a tutto volume sulla spiaggia. C’era sempre qualcuno a cui gli spiccioli non mancavano, instancabilmente si alzava dal tavolino dimenticando momentaneamente la sua bottiglia di Ichnusa, che inseriva le cinquanta lire, così Giulia, dopo una lunga introduzione orchestrale come si usava nella disco degli anni ottanta, ripartiva nuovamente da capo.

In quegli anni a Orosei non si sapeva neanche cosa fosse l’accoglienza turistica e mentre orde di vip ed arricchiti assaltavano la non lontana Costa Smeralda, in quel paese al limitare dell’ancora selvaggia Barbagia, ci si teneva cautamente lontani dalla confusione dei villeggianti. La gente viveva soprattutto di pesca e di agricoltura e moderatamente di allevamento. La pianura, bagnata dal Cedrino imbrigliato ad arte, produceva ogni bendiddio, tra l’altro enormi pesche gialle come il sole, dal succo dolcissimo. I pochi turisti che vi giungevano erano perlopiù emigrati che tornavano con le loro famiglie e fra loro qualche sparuto tedesco in cerca di avventura, sempre in caccia di itinerari alternativi. Ci capitammo anche noi quasi per caso, costeggiando la costa, percorrendo l’Orientale Sarda dopo essere scesi dalla nave, con l’obbiettivo di inerpicarci sulle falde del Gennargentu, per raggiungere Tonara il paese di mio padre.
Scoprimmo un paese che era veramente oro come suggerisce il suo nome, bellissimo e selvaggio con un mare stupendo. L’abitato era lontano dal mare: in antichità le coste erano pericolose, predoni e malaria erano nemici da tenere lontani. Orosei era separata dalla Marina, all’epoca solo uno spiazzo in prossimità del mare con due malconci chioschi, da due lunghi interminabili e assolati rettilinei, che non impedivano a intrepidi pastori di condurre a pascolare le loro indolenti vacche sin sulla spiaggia.
La costa pareva infinita, non era ancora stata spezzata dai porti turistici, appariva come un’enorme distesa di sabbia, nelle giornate limpide sembrava di poter abbracciare con lo sguardo l’enorme Golfo di Orosei.
C’erano pochissimi bagnanti e ci si teneva educatamente a debita distanza, con silenziosa discrezione. I frequentatori della spiaggia erano molto eterogenei, c’erano donne nel costume tradizionale sardo con il foulard sulla testa, uomini con i gambali, enormi pancioni in canottiera distesi su materassi di lana portati da casa, e molto lontano, (purtroppo, per le mie curiosità giovanili) anche qualche conturbante nudista. Nel fine settimana scendevano i signori da Nùoro e orde di ragazzi invadevano la spiaggia dai paesi vicini, su tutti gli sparuti e magri ragazzini di Galtellì che giungevano fin lì trasporati sui cassoni di vecchie Ape. Instancabili inscenavano memorabili partite di calcio travolgendo tutto e tutti, rigiocando all’infinito l’Italia-Germania dei mondiali appena vinti. Si fermavano solo all’ora della merenda e in uno modo o nell’altro riuscivano sempre a muovere a pietà le mamme degli ombrelloni vicini, così felici giravano con i segni della nutella ben oltre le labbra, traccia della foga con cui si erano avventati sui panini strappati con le loro astuzie.

Erano anni che si andava ad Orosei e oramai ci conoscevano quasi tutti, io poi avevo due sorelle e i ragazzetti scuri e tozzi del posto se le ricordavano bene. Mio padre si era subito fatto ben volere e con due parole in sardo era riuscito a vincere l’innata diffidenza dei locali ottenendo sempre dei buoni ed economici appartamenti dove passare le nostre vacanze. Sembrava proprio di essere in un altro mondo laggiù: negli anni ottanta, rispetto al nord da cui giungevamo, le differenze erano veramente marcate.

Quel pomeriggio la temperatura in spiaggia era, se possibile, ancora più infuocata ed ardente. Il tempo non scorreva, come al solito mi annoiavo, dovevo sempre aspettare almeno tre ore dopo aver mangiato per fare il bagno, mio padre non faceva sconti. In sottofondo immancabile c’era la colonna sonora di Giulia, e io mi guardavo in giro in cerca di qualcosa che attirasse la mia attenzione, fu allora che la vidi arrivare.
Coincidenza, scese proprio da una Giulia Alfa Romeo con quel colore indefinibile che sceglieva l’Alfa al tempo, sembrava un violetto sbiadito. L’auto, che poi scoprì era targata Sassari con le doppie S arancio sulla targa nera e quadra come era previsto nei primi anni ottanta, si posteggiò al di là del canale d’acqua: non c’era ancora il ponte per attraversarlo.
Lei, lo notai subito, era molto graziosa, bionda, alta e magra, con le gambe lunghe e i capelli sciolti sulle spalle, mossi come andava di moda. Una bellissima ragazza, probabilmente della mia stessa età ma molto più donna di quanto io potessi essere uomo.
Con la pancia a terra e il mento appoggiato sulle mani, non mi persi nessuno dei suoi gesti mentre in piedi fuori dall’auto con le porte aperte, armeggiava all’interno dell’abitacolo per recuperare tutto ciò che si era portato e che pensava le sarebbe potuto servire in spiaggia.
Immaginai che fosse ospite della famiglia di quella che sembrava una sua buona amica, d’altronde erano tutti piccoli e scuri, i genitori e il fratellino. Lei no, Giulia era incredibilmente bionda, con la pelle ambrata, come solo quella delle ragazze di carnagione chiara può diventare sotto il sole.

Da quel pomeriggio quella ragazza fu il mio più persistente e quotidiano pensiero.

Loro, gli occupanti della Giulia, arrivavano solo al pomeriggio al mare e sempre tardi, ma io li aspettavo instancabile. Steso sul limitare della duna di sabbia che delimitava la spiaggia, leggermente più in alto del circostante, attendevo che il muso con i quattro fari cromati della Giulia sbucasse dalle siepi di oleandro che limitavano il lungo rettilineo e si posteggiasse per scaricare il suo prezioso equipaggio.
Il più delle volte il drappello familiare gravato di ombrelloni, asciugamani e sdraio, nonché altri bagagli ingombranti e poco maneggevoli, fortunatamente si sistemava vicino al nostro ombrellone. Ma ero io che diabolicamente avevo piantato il palo del nostro ombrellone, decretando il posto dove sistemarci, facendo il possibile per prevedere dove si sarebbero sistemati gli occupanti dell’Alfa targata Sassari.
Immaginai che si chiamasse anche lei Giulia, come la canzone che suonava instancabile, e come la macchina che me la regalava, ma anche che me la portava via ogni sera.
Inutile dire che caddi innamorato in quel modo assoluto e ottuso, al quale solo negli anni dell’adolescenza ti puoi lasciare andare.
La guardavo in continuazione, del resto avevo ben poco di altro da fare mentre si era tutti rannicchiati nelle ore più calde sotto l’ombrellone. Ricordo un sole che ti carbonizzava se solo ti fidavi, pareva che ti cuocesse la testa, la materia grigia ti ribolliva come l’acqua nella pentola quando è ora di buttare la pasta. Erano dei pomeriggi eterni, mia madre al centro dell’ombra circolare creata dall’ombrellone, sistemata sulla sua sedia come Toro Seduto perché ha la pelle chiara da continentale e non si poteva scottare, lasciava per me e le mie sorelle solo dei lembi di ombra, che noi litigiosamente ci contendevamo; mio padre se ne fregava e passava il tempo sotto il sole come una lucertola, tanto che a fine vacanze assumeva la colorazione di un aborigeno australe.
Per fortuna c’era lei, la mia splendida bionda, ma dovevo stare ben attento, se solo le mie sorelle mi avessero scoperto ero spacciato, mi avrebbero preso in giro per tutta l’estate.
Più avanti ebbi la sorpresa di scoprire che Giulia abitava proprio vicino a noi, intorno alla Piazza di San Antonio, un villaggio che sembrava una colonia dei conquistadores, quasi un altro paese all’interno di Orosei: presi la cosa come un segno, il destino mi era amico, ci voleva unire.
Noi si stava nella casa di Cristolu uno dei due pizzaioli del paese, lui era quello che sudava di più, non si poteva non notarlo quando a fine serata passava tra i tavoli aspettandosi i complimenti per la sua pizza sarda, carica di aglio e pecorino, trasudando liquido come una fontana e guardandoti con quegli occhi strabuzzati che lo facevano sembrare una rana.
Quell’estate le mie vacanze trascorsero malinconicamente nell’attesa che il fato mi offrisse qualche chanse inaspettata per parlare con Giulia. Steso sul mio asciugamano, tra letture pesantissime che mi infliggevo attingendo nei libri della biblioteca di casa, dai Fratelli Karamazov a Moby Dick, il mio cervello macchinava le cose più assurde. Sognavo che lei improvvisamene si accorgesse che io ero l’uomo della sua vita, che in preda alla passione si alzasse dal suo ombrellone e mi dichiarasse il suo amore, oppure che mi raggiungesse in acqua per baciarmi appassionatamente o che magari cercasse di fare amicizia con le mie sorelle con l’astuto fine di arrivare a me… Altre volte immaginavo di rintracciarla a Sassari, di raggiungerla in quella che pensavo fosse la sua città e lei, come in quegli inverosimili film in bianco e nero, mi sarebbe caduta ai piedi, capendo finalmente che nella sua vita non poteva esserci altro uomo all’infuori di me…

In realtà le vacanze finirono senza che io avessi mai il coraggio di parlarle, d’altro canto lei neanche mi notò, ero troppo brutto e timido.

Non la rividi mai più, anche se successivamente ritornai ad Orosei, a più riprese anche parecchi anni dopo, assistendo tra l’altro al paese che violentato e deturpato diventava turistico. Alcune volte mi capitò anche di vedere di sfuggita la sua amica con la sua famiglia piccola e scura, tornavano sempre lì in vacanza, ma di lei ma più nessuna traccia.

In questi giorni mi è capitato casualmente di risentire quella canzone: Giulia.
L’avevo dimenticata, non l’avevo mai più sentita. E’ stato come imbarcarsi sulla macchina del tempo, il mio pensiero è volato all’istante a lei, il suo ricordo mi si è ripresentato vivo come se non fossero trascorsi quasi trenta anni, quale destino avrà riservato la vita alla mia bionda Giulia e dove sarà ora?


Nigel Mansell
6   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Mattia Inserito il - 20/07/2011 : 00:16:10
Racconti stupendi complimenti :)
Anto Inserito il - 22/06/2011 : 09:55:28
Non so dove sia finito Nigel.....sono passati diversi anni....Baroniesa si è tuffata "sotto "casa a ricordare Orosei in quegli anni...io che ho casa a pochi metri di distanza dalla piazza che Nigel cita..e conosco Cristolu (del quale ha disegnato un ritratto perfetto!!!!!)..penso a quella macchina e ai suoi occupanti...e penso a questa fanciulla bionda...troppo vistosa per la stragrande presenze floreali oroseine...spesso tutte dai bei capelli corvini......ma la Giulia Alfa Romeo non potevano avercela in tanti....nella zona ricordo solo una famiglia e in casa c'era Antonella... bionda e dalle lunghe gambe....peccato non sia sicura della macchina....chissà. Forse. E chissà ora..Nigel che fa...un abbraccio Baroniesa. A presto. anto
Baroniesa Inserito il - 21/06/2011 : 14:57:20
Che bello... mi sembrava di essere lì mentre leggevo conosco la marina di Orosei da quando... boh! forse da quando sono nata, i miei primi compleanni li ricordo solo lì già molto prima degli anni ottanta e, mentre leggevo mi sembrava quasi di annuire con la testa, mentre descrivevi com'era il paesaggio allora. Anche i quegli anni frequentavo la marina ma penso di non essere io la "bionda Giulia" forse perchè somigliavo più alla famiglia della sua amica e... a tuo padre, anche io in una settimana sembravo un'aborigena australiana
Comunque, una piacevole lettura, complimenti!
Petru2007 Inserito il - 05/11/2007 : 23:54:44
Davvero belli e coinvolgenti... sembra davvero di vedere quelle scene... questa è poesia allo statto puro...
Ela Inserito il - 05/11/2007 : 23:51:23
scrivi molto bene!!!!! Mi è piaciuto anche l'altro racconto...quello di Tonara.



Mezus terra senza pane, que terra senza justitia
ziama Inserito il - 05/11/2007 : 23:32:03
Bellissimi racconti...mi ci sono tuffata dentro....

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