Forum Sardegna - Esami ancillari dell'Archeologia
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Nota Bene: In località "S'Acqua Cotta" a dieci chilometri da Villasor vi è una sorgente tra le più antiche del Campidano. Già migliaia di anni fa, le popolazioni nomadi beneficiavano degli effetti di quest'acqua durante la transumanza.
Essa è un'acqua termale che sgorga a una temperatura di circa 46° c. perché a poco più di mille metri sotto il livello del mare alcuni serbatoi vulcanici emettono gas e vapori che la mineralizzano.



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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 31/10/2011 : 14:46:10  Link diretto a questa discussione  Rispondi Quotando
Gli studi stratigrafici, analitici delle strutture delle costruzioni, oltre che comparativi di altri oggetti sardi di vario materiale, non mancano, in Sardegna. Altrettanta importanza sembra non rivestano altri e vari esami, che purtroppo sembrano talvolta trascurati anche dagli esperti e dai ricercatori ufficiali. Vogliate partecipare ad elencare quelli che conoscete, con speciale menzione di quelli che sapete essere applicati dagli archeologi sardi (o che vorreste fossero applicati).





 Firma di maurizio feo 
Beni: ti naru unu contu...

 Regione Emilia Romagna  ~ Città: Roma  ~  Messaggi: 2962  ~  Membro dal: 11/01/2008  ~  Ultima visita: 23/03/2012

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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 31/10/2011 : 14:47:01  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Circa 2250 anni fa, nell' Egitto Tolemaico, un uomo – conosciuto oggi come “M1” – lottava con una malattia progressiva, lunga e dolorosa: un dolore sordo, persistente, continuo della parte inferiore della schiena, che s’irradiava alle altre parti del suo corpo, rendendo penoso ogni suo movimento. Alla fine, M1 perse la sua battaglia contro la misteriosa malattia che l’affliggeva. Morì, in un’età che gli esperti valutano tra i 51 ed i 60 anni, e la sua famiglia pagò per la sua mummificazione, affinché egli potesse rinascere e godere dei piaceri della vita dell’Aldilà.
Recentemente, una squadra internazionale di ricercatori ha diagnosticato che la malattia di M1 consistette nel più antico caso di cancro prostatico in Egitto, (il secondo nel mondo: il primo è quello di un re , nell’antica Scizia – odierna Russia – risalente a 2700 anni fa). Ha anche rilevato che probabilmente fino ad oggi è stato sottovalutato il numero dei casi di cancro prostatico dell’antichità, per via del fatto che la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (CT scan) è stata disponibile solo a partire dal 2005.
Lo studio (pubblicato nell’ultimo numero dell’International Journal of Paleopathology ) ha permesso di osservare la presenza di numerose piccole metastasi rotondeggianti nella pelvi e nel rachide lombare di M1, oltre che nelle ossa del braccio e della gamba (cioè nelle sedi più frequentemente colpite dal ca. prostatico).
In verità, il numero di tumori ossei diagnosticati in antichità è basso: solo 176 su decine di migliaia di resti antichi esaminati. Tale antico basso numero potrebbe essere imputabile a due fattori: (1) la vita più breve, allora, che non dava il tempo ai tumori ossei di formarsi e proliferare; (2) l’enorme aumento di fattori carcinogeni presenti nell’ambiente di oggi, rispetto ad allora.
Ma esistono teorie per le quali ciò non è del tutto vero. La fuliggine dei camini e dei fuochi per riscaldarsi, infatti, è un potente carcinogeno (cutaneo e polmonare); il bitume, scaldato e fuso, usato fin dai tempi antichi per rendere le imbarcazioni a prova d’acqua si è dimostrato carcinogeno per il tratto respiratoria e per il tratto digerente. Pertanto, i tumori antichi erano più frequenti di quanto noi non riusciamo a vedere oggi. ( Fonte: http://www.sciencedirect.com/scienc...981711000271 e anche: http://news.sciencemag.org/)

Ecco uno solo dei tanti tipi di studio che potrebbero eseguirsi sulle ossa dei resti sardi, che talvolta risultano abbandonati nelle Domos de Janas (come si è visto anche in alcune fotografie comparse su questo Forum)







Modificato da - maurizio feo in data 31/10/2011 14:50:45

  Firma di maurizio feo 
Beni: ti naru unu contu...

 Regione Emilia Romagna  ~ Città: Roma  ~  Messaggi: 2962  ~  Membro dal: 11/01/2008  ~  Ultima visita: 23/03/2012 Torna all'inizio della Pagina

maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 02/11/2011 : 22:15:38  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Gli esami sopra riportati sono di tipo radiologico.
Un altro tipo d'esame, biochimico, che si potrebbe eseguire sui resti ossei (visto che il clima sardo non permette a molto altro di arrivare fino a noi) e che invece non è stato utilizzato così spesso come si sarebbe potuto fare, è l'analisi degli isotopi stabili.
Gli isotopi di un elemento sono sostanze che possiedono il medesimo numero atomico, ma un differente numero di neutroni. Dato che ogni alimento che l'organismo digerisce possiede una propria caratterizzazione isotopica, che si trasmette ai tessuti corporei dopo la loro assimilazione e rimanendovi nell'arco di numerosi anni.
L'analisi degli isotopi stabili permette quindi di stabilire la dieta del soggetto nell'ultima parte della vita.
Gli isotopi più indicati per questa indagine sono quelli costitutivi del collagene osseo (13C e 15N), oltre al carbonato minerale (13C).

Naturalmente, i dati ottenuti possono essere integrati da altri dati di discipline differenti: l'archeobotanica e l'archeozoologia.

Anche questi credo siano stati poco usati, per la Sardegna, fin qui.







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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 02/11/2011 : 22:38:52  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Infine, ci sono gli esami sul Dna.






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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 03/11/2011 : 18:56:22  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Naturalmente, questi esami citati non sono altro che una piccola parte degli esami che è possibile oggi eseguire: ve ne sono molti altri ancora.
Ad esempio, il cosiddetto LA-ICP-MS, che coniuga la Spettrometria di massa alla Plasma ablazione: si tratta di una tecnica non molto costosa, con bassi limiti di detezione,, minimo danno al campione, rapidità di esecuzione, capacità di riconoscimento precisissima di quasi tutti gli elementi chimici noti, e possibilità di eseguire esami comparativi su numeri discretamente grandi di campioni contemporaneamente (utile, ad esempio nel determinare la provenienza delle ossidiane o dei reperti metallici).
E' utilizzabile su un gran numero di sostanze, organiche e no: metalli, ceramiche, pietre, pigmenti,, ossa, denti, legno etc...
Anche questo tipo d'esame non mi sembra sia stato gran che usato nei reperti archeologici Sardi.

Del C14 abbiamo già parlato in altra sede: e abbiamo parlato anche dei suoi bassi costi (circa 200 euro ad esame)...

E' ovvio che si può essere pro o contro qualche esame in particolare per le limitazioni ed incertezze che la sua metodica comporta: ma credo pure che la vasta gamma di esami oggi possibili ed accessibili tenda molto a ridurre queste imprecisioni, incertezze e prevenzioni.

Quello che non si capisce bene (almeno: io non lo capisco bene) è perché esami anche di basso costo siano così tanto trascurati.







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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 03/11/2011 : 19:10:59  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Insomma: a partire dai semplici reperti ossei (e almeno quelli, ci sono, in Sardegna!), siamo in grado di stabilire
- quali patologie(che lascino segni sull'osso: quali anemie, denutrizione, tubercolosi, fratture, traumi di vario genere - rituali e belliche - pre e post mortem, tumori, affliggevano il proprietario delle stesse.
- Di quale origine potesse essere dal punto di vista geografico, con talvolta massima precisione, talaltra solo scarsa approssimazione.
- la genetica permetterebbe anche di risalire ad alcuni tratti del carattere psicologico del soggetto, oltre che ad alcune delle probabili caratteristiche somatiche.
- Di che cibi si cibasse preferenzialmente durante la sua vita e fino alla morte (infatti è dimostrato che i nuragici non mangiavano pesce, ad esempio e che il miglio fu introdotto in Europa dall'Africa solamente nell'Età del Ferro).
- Che percorsi seguissero i commerci in determinate età (si vedano le cosiddette "vie dell'ossidiana" e quelle degli altri commerci).
- Di che periodo fossero i reperti in esame, talvolta con discreta sicurezza.

Naturalmente, ciascuna specialistica metodica costituisce solamente una delle gambe sulla quali si sostiene la tavola della diagnosi archeologica: ma è evidente che tanto più numerose sono le gambe polispecialistiche, tanto più stabile è la tavola che si ottiene...

E' possibile che l'Archeologia debba prima o poi fare i conti con questa realtà e ri-patteggiare l'importanza delle proprie metodiche più "classiche"?







Modificato da - maurizio feo in data 03/11/2011 19:14:21

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Lessa
Salottino
Utente Attivo



Inserito il - 04/11/2011 : 00:00:18  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Lessa Invia a Lessa un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Secondo te Maurizio l'uomo che 3400 anni fa ha costruito il nuraghe diana, a meno di cento metri dal mare, no piskada e no pappada sa lissia?
Oppure non sono state fatte analisi e non sono stati trovati resti umani di chi abitava così vicino alla costa in periodo nuragico?
E tra il pesce che non mangiavano, ci infili anche le anguille del flumendosa e la carpa macrostigma (autoctona) dei ruscelli montani?







  Firma di Lessa 
"La storia scritta dai vincitori non può dire cose giuste"

Il mio Blog sulla rievocazione storica, il combattimento, e la ricostruzione Nuragica: http://sardinianwarrior.blogspot.com

 Regione Sardegna  ~ Prov.: Cagliari  ~ Città: Cagliari  ~  Messaggi: 941  ~  Membro dal: 20/01/2009  ~  Ultima visita: 19/01/2018 Torna all'inizio della Pagina

maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 04/11/2011 : 07:09:50  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Alessandro: sto citando i risultati, non il "secondo me".
Si possono discutere, ad esempio partendo dalla rappresentatività del campione, come stai facendo tu adesso....
Gli isotopi stabili sono distinguibili e rintracciabili fino alla fonte.
Qui non si sta negando la presenza di pesci ed anguille, tutti autoctoni della Sardegna...
Né - più importante - si sta negando la possibilità che l'alimentazione includesse, in alcuni casi, anche il pesce e le anguille. )Anzi, ricordo che - più tardi, nel periodo nuragico, sono documentati archeologicamente pasti di arselle anche nell'interno).

Il fatto è che non è stato trovato pesce.
Puoi ipotizzare un campione insufficiente? Sì, puoi. Ma è una possibilità.

Anche i campioni di Dna sono scarsi, tanto che qualcuno sostiene non siano rappresentativi. Ma quello che abbiamo, però, è pur sempre un dato.
Quello che non abbiamo (tra i dati obiettivi), invece, può essere solamente un'ipotesi (ragionevole e logica, finché si vuole, ma solamente ipotesi).

Ma la scarsa alimentazione a base di pesce, nell'epoca su descritta, non riguarda solo la Sardegna: riguarda il Mediterraneo...







Modificato da - maurizio feo in data 04/11/2011 07:32:36

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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 05/11/2011 : 11:33:31  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Non credo che questo topic sia molto seguito - anzi, credo che susciti parossismi d'indifferenza o repulsione da parte di quasi tutti - ma procedo egualmente.

Non ho accennato al ruolo dello studio della lingua, come materia ancillare dell'archeologia...

Ecco: esattamente come Stieglitz si dichiara onestamente "allergico" nei confronti della Genetica di Popolazioni (intendendo più probabilmente di diffidarne proprio perché non la comprende appieno), io personalmente non guardo con molta fiducia al possibile apporto delle lingue (proprio perché ne capisco poco, probabilmente).
Perché?
Di fronte ai conflitti ed ai risultati contrastanti ai quali pervengono talvolta i linguisti, poi, tale diffidenza non può che aumentare. E sì che la materia la trovo sommamente interessante: ho acquistato nel tempo e letto e riletto numerosi testi a riguardo. Ma ancora oggi, se mi chiedessero in merito all'appartenenza dell'Etrusco al gruppo delle lingue Indoeuropee, sarei in imbarazzo: perché quasi tutti considerano l'Etrusco non Indoeuropeo, salvo alcuni (tra cui il prof. Pittau, che mi ha rimproverato personalmente per la mia indecisione, ripetendomi che nessuno studioso vivente ha studiato l'Etrusco da vicino e tanto a lungo quanto lui!).

Perché la cosa è importante, invece che solo secondaria?
Perché la lingua (come molte altre cognizioni che fanno parte intimamente integrante della Cultura di una Popolazione) viene trasmessa per via Verticale e Diretta (La lingua s'impara in primo luogo dai parenti più anziani di noi. E' anche chiaro che esista anche un'influenza Orizzontale dell'ambiente: amici, insegnanti e conoscenti: ma questo non cambia di molto le cose).
Di fatto si tratta della trasmissione culturale (astratta) quanto più simile possibile ad una trasmissione genetica (biologica).
Pertanto, si dovrebbe trattare di un "marcatore" abbastanza preciso della provenienza di un individuo e della sua comunità...

Ora, si è visto come questo sia vero solo in parte, o - almeno - solo per tempi e passaggi cronologicamente estremamente ridotti, rispetto alla lunga storia dell'Uomo.
Il fatto che siano state indicate più di venti sedi geografiche come possibile terra d'origine delle Lingue Indoeuropee, la dice lunga sull'imprecisione che lo studio delle lingue è capace di produrre.
Inizialmente, i linguisti parlavano a ruota libera di "parentele genetiche" di vocaboli e lingue, lasciando intendere che anche il "salto" dalla categoria "lingua" a quella "discendenza" fosse altrettanto breve... Da quando la Genetica ha cominciato a produrre scientificamente risultati talvolta molto precisi, essi sono invece costretti ad usare terminologie molto più accorte, per non essere vistosamente contraddetti.







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 Regione Emilia Romagna  ~ Città: Roma  ~  Messaggi: 2962  ~  Membro dal: 11/01/2008  ~  Ultima visita: 23/03/2012 Torna all'inizio della Pagina

pollo mannaro

Utente Medio


Inserito il - 05/11/2011 : 15:32:29  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
maurizio feo ha scritto:

Non credo che questo topic sia molto seguito - anzi, credo che susciti parossismi d'indifferenza o repulsione da parte di quasi tutti


No, almeno da parte mia. Lo trovo interessante ma non ho tempo per contraddirti (nell'impostazione) e non mi va di farlo in due righe. Però leggo volentieri e seguo (ma tanto non avevi bisogno di questo post per saperlo, immagino)!






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Trambuccone
Salottino
Utente Senior



Inserito il - 05/11/2011 : 16:38:40  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Trambuccone Invia a Trambuccone un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
@Maurizio
Ti leggo anche se sono stanchissima. Se ti può essere di consolazione e conforto anche io sono giunta alle tue stesse conclusioni.
T.







  Firma di Trambuccone 
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum......et tertia non datum.

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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 05/11/2011 : 19:01:43  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
I "vecchi" sistemi di datazione usati dagli archeologi.
Un metodo di datazione, prima molto usato, è quello degli Assunti Astrologici.
Ad esempio, la datazione “Sotica” della cronologia Egiziana, che si basa su due punti chiave, entrambi relativi al sorgere della stella Sirio (Sothis).
L’egittologo W. Herk ha rilevato, nel 1989, che il Papiro Ebers (che fornisce il punto fisso sotico per il Nuovo Regno: 1517 a. C.) non contiene in realtà alcuna data di calendario e pertanto è inutile ai fini di qualsivoglia calcolo.
La datazione del Medio Regno (1872 a. C.) si basa invece sul Papiro Illahun, la cui datazione lunare è stata fortemente ed autorevolmente messa in dubbio da L. Rose nel 1994, per cui non sarebbe coincidente con il XIX secolo.
Conseguentemente, non esistendo più punti fissi astronomici su cui basarsi, gli egittologi hanno, di fatto, abbandonato la datazione Sotica in genere, anche se sono piuttosto restii ad ammetterlo in pubblico.







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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 05/11/2011 : 19:14:48  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Il "famigerato" C14.
Un rilevante e molto noto metodo di datazione è quello al Radiocarbonio (ne abbiamo parlato anche in altri posti, qui nel Forum) , che è stato introdotto dal chimico William Libby, nel 1946. Permette di retrocedere fino a circa 40.000 anni. È risultato prezioso in vari casi, in cui il campionamento è stato eseguito in modo corretto: ad esempio è quello che ha permesso di tracciare con successo una credibilissima carta della diffusione dell’agricoltura attraverso l’Europa, che coincide con la diffusione demica, geneticamente dimostrata . Questa è la splendida forza congiunta dei mezzi d’indagine. Nell’Egeo e nel Medio Oriente, però, per mancanza di campionamenti sistematici, la tecnica del radiocarbonio non permette ancora di dirimere l’eterna diatriba circa la corretta datazione della fase di passaggio tra tarda Età del Bronzo ed Età del Ferro. L’eminente specialista in radiocarbonio, professoressa Ingrid Olson ha avuto modo di criticare la raccolta di campioni insignificanti, o non idonei, o la loro errata conservazione: “Onestamente, credo che la maggior parte delle attuali datazioni dell’Età del Bronzo sia dubbia. Devo criticare il modo in cui i dati sono stati ottenuti”.
Va specificato che il materiale migliore, da raccogliersi in un sito archeologico è quello giovane, che ha maggiori probabilità di essere realmente coevo con lo strato pertinente del sito esaminato: arbusti o semi (1). Materiale vecchio può fuorviare, anche di secoli. Si pensi ad una costruzione d’oggi, effettuata con travi di legno conservate in un magazzino per 50 anni, già provenienti dalla demolizione di un antico palazzo dei secoli precedenti, per il quale era stato riadattato il legno utilizzabile di un vetusto ovile abbandonato da epoca immemore: una datazione della costruzione attuale, che si basasse solo su quel legno, l’attribuirebbe ad un periodo molto antecedente (2) . Il riutilizzo del materiale, inoltre, non è un vezzo moderno, bensì una pratica antichissima. Spesso, quindi, il materiale vecchio propone datazioni C14 molto anteriori al contesto. Talvolta vi sono errori di laboratorio, ad esempio il pre - trattamento per eliminare contaminazioni. Anche effettuare una media tra i risultati da campionamenti giovani e vecchi non è un buon metodo, perché fornisce risultati comunque errati. Infine, si assiste spesso alla disdicevole abitudine, nazionale ed internazionale, di presentare i dati al C14 in bella evidenza, quando sono concordanti con le aspettative dell’autore; solo in nota, quando sono meno graditi; del tutto assenti quando non concordano con le idee preconcette del ricercatore. È di dominio pubblico tra gli archeologi di tutto il mondo il fatto che numerose valutazioni C14 riguardanti l’antico Egeo, l’Egitto ed il Medio Oriente non sono state pubblicate, semplicemente perché non concordavano con i preconcetti degli scavatori. Alcuni casi, più precisamente tre, sono ammessi per iscritto (3). E questo riguarda dolorosamente anche la Sardegna.
A voler essere onesti, tutta la datazione al radiocarbonio andrebbe rifatta daccapo, dalla raccolta di buone serie di campioni, con una metodica corretta e confrontabile, eseguita in almeno tre laboratori differenti. Alcuni autori sostengono che tutti i dati C14 precedenti al 1990 siano da scartare (4). Questo ha prodotto anche in alcuni addetti ai lavori uno stato d’insoddisfazione, se non di sfiducia verso la metodica stessa, che va invece considerata valida. Per completezza, si deve aggiungere che esistono oggi, nei testi, due serie di datazioni al radiocarbonio: la prima è composta dalle date vecchie, dette “non calibrate”, che sono errate e dovrebbero essere, se non addirittura omesse, almeno scritte in rotondo, a dimostrare che compaiono a scopo decorativo. La seconda serie contiene date al radiocarbonio “calibrate”, cioè ricontrollate con l’aiuto della dendrocronologia (5) e che andrebbero, per convenzione, scritte in maiuscoletto e accompagnate dalla scritta BP (before present). Le date calibrate tendono ad essere più “alte”, cioè più antiche, delle precedenti non calibrate, anche di qualche migliaio di anni.

(1) Fino a pochi anni fa, le misurazioni potevano essere effettuate solo su campioni abbondanti di materiale (qualche grammo): la scelta, pertanto, cadeva sui resti lignei dei focolari, che sono spesso sede d’inquinamento con altri residui di epoche diverse. Oggi, l’inconveniente è superato, grazie alla spettrometria di massa, che permette datazione di piccoli campioni, quali un seme o un frammento osseo.
(2) A Kastoria/Dispilio, in Grecia, uno stipite di ginepro dipinto di blu (secondo la moda attuale), recentemente recuperato da una casa d’abitazione moderna, portava i cardini di una porta dei nostri giorni. Il C14 lo fa risalire al 2117 a. C. ±110 anni, pertanto all’età del Bronzo, quindi probabilmente prelevato da un sito archeologico non lontano.
(3) James et Al. “Mediterranean Chronology in crisis” in M.S. Balmuth & R.H.Tykot eds, : Sardinian and Aegean Chronology: Proceedings of the international colloquium ‘Sardinian stratigraphy and Mediterranean chronology’,Tufts University, march 17-19 1995, (studies in Sardinian archaeology V – Oxford: Oxbow books) pp 29-43.
(4) Stuart Manning, della Reading University, critica la mancanza di uniformità dei metodi, di normalizzazione del C14, il pretrattamento con alcalini e di qualità di misurazione, che non si conforma alle attuali curve di calibratura.
(5) Si esegue la radiodatazione 14C degli anelli che, dendrocronologicamente, dovrebbero essere prossime a quelle offerte dalla radiodatazione 14C da calibrare: in genere, la correzione porta ad una data più “alta”.







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maurizio feo
Salottino
Utente Master



Inserito il - 06/11/2011 : 12:58:43  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Un recente metodo utile per la datazione è dato dalla Dendrocronologia, una tecnica presa in prestito dalla Botanica (1) e che è ancora in fase di sviluppo . Il metodo si basa sul fatto che ciascun anello d’accrescimento di un albero corrisponde ad un anno solare. Nel corso della vita della pianta, si forma, quindi, un disegno preciso (detto pattern) d’anelli concentrici, le cui caratteristiche sono influenzate dal clima (entità dell’irradiazione solare, presenza d’acqua, tipo di suolo, esposizione, disastri ambientali) e dalle sue variazioni nel tempo. In ciascun anello, l’accrescimento primaverile è più chiaro e quello estivo più compatto e scuro. I pattern possono essere confrontati – anello per anello – con quelli d’altre piante cresciute nella stessa zona climatica. Si può inoltre procedere all’esame dell’estensione di ciascun anello, oppure risalire alle condizioni climatiche con lo studio densitometrico di ciascun anello ai raggi X. Accostando i pattern di piante molto antiche, di varie età e riconoscendo i punti in cui ciascun pattern più antico si sovrappone all’altro più giovane (crossdating), è possibile costruire delle sequenze ininterrotte d’anelli d’accrescimento, che coprono lunghi periodi e che servono da modello di riferimento: sono chiamate cronologie. Per l’Egeo, i Balcani ed il Medio Oriente, negli ultimi 20 anni, sono state laboriosamente costruite dendrocronologie che coprono un periodo di 6000 anni (che vanno indietro fino a circa il 7500 a.C.). Lo scopo sarebbe costruire una cronologia che permetta di confrontare qualsiasi campione di legno con un modello affine ininterrotto, dal presente fino al neolitico, con la precisione di circa 1 anno. Il lavoro da fare è ancora lungo. Questa metodica si sta espandendo in vari territori d’assoluto interesse, anche se, al momento, Iran e Mesopotamia sono esclusi da ogni possibile studio. Si presume che presto sarà completata la dendrocronologia per l’Anatolia (2) e ci si aspettano da ciò buoni riflessi sulla datazione assoluta di tutta la zona mediorientale. Perché il metodo dendrocronologico abbia successo, è necessario disporre di lunghe sequenze di anelli. Se si possiedono tali sequenze, anche piccoli frammenti di legno possono essere facilmente datati con precisione, come è successo per i resti di carbone di Catal Huyuk, non più grandi di un uovo di piccione, che contenevano fino a 250 anelli riconoscibili.
Non tutti gli alberi sono utili per la dendrocronologia: la quercia, il pino, l’abete, il ginepro, il tasso e occasionalmente il castagno sono stati impiegati con successo; l’olivo (che tende con l’età a “cavitarsi”), il pioppo, il salice e gli alberi da frutto non possono essere utilizzati. Anelli particolarmente abbondanti, in queste ultime specie possono significare anche soltanto che l’agricoltore del posto si è dato molto da fare con l’irrigazione. Il cipresso è molto difficile da leggere. Le dicotiledoni non possiedono un accrescimento ad anelli, come le palme, perciò sono escluse dallo studio, come pure le piante da zone senza variazioni stagionali, in cui l’accrescimento è troppo uniforme. Lo stato del campione è importante: se nel reperto da scavo è presente la corteccia, si può talvolta determinare con precisione l’anno dell’abbattimento della pianta. Questa è la metodica su cui tutti ripongono le proprie speranze di ottenere un giorno un sistema sicuro di datazione, anche se, per il momento, non è ancora un sistema autonomo (dipende ancora, in parte, dalla datazione C14), non esistendo serie abbastanza estese e lunghe di cronologie per ciascun tipo di pianta. È una metodica che porterà molte modifiche alla vecchia cronologia ufficiale: alcuni risultati sorprendenti stanno già filtrando (3) , seppure tra comprensibili controversie e reticenze. Per tali motivi, rincresce molto l’osservare che la metodica non prenda piede in Sardegna, dove non difetta il legno antico utilizzabile . Forse l’olivastro non soffre delle stesse limitazioni dell’olivo. Forse è ancora molto attuale il rimprovero portato da più parti al mondo scientifico sardo, che non avrebbe studiato altro se una manciata di nuraghi e anche quelli in modo discutibile. Da più parte si legge che l’attività di scavo preponderante in Sardegna è quella clandestina: gli scavi di salvataggio che seguono soffrirebbero di incompletezza per mancanza di fondi. Per quanto concerne il tronco di legno incastrato nella sala centrale del nuraghe di Barumini, in Sardegna, probabilmente è già molto se si sappia di che qualità di legno si tratti in realtà… Il quadro non è dei più incoraggianti.
(1) La versione “marina” è la Lepidocronologia, effettuata sui rizomi dei letti di Posidonia, che permette di andare indietro di 4600 anni (Bourdesque et al. 1980).
(2) Kuniholm P. 1998. “Aegean Dendrocronology Project: December 1998 Progress Report” Department of History of Art, Cornell University, Ithaca, N.Y
(3) Il portale di Tille Huyuk sull’Eufrate era un avamposto dell’Impero Ittita, ufficialmente datato 1300 a.C. e distrutto nel 1190 a.C. Esso è dendrologicamente datato 1101 da P.I.Kuniholm, massima autorità in materia, 1999, Cornell University. Dato che il manufatto non può essere sopravvissuto alla propria distruzione fisica, le date ufficiali (tutte!) sono fuori bersaglio.







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maurizio feo
Salottino
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Inserito il - 06/11/2011 : 13:19:44  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Il metodo delle Varve (1) consiste nello studio degli strati dei depositi di laghi periglaciali. In Svezia e Nord America ha permesso di andare indietro nel tempo fino a circa 15000 anni fa. Il metodo, comprensibilmente, non è di molto interesse diretto per le nostre zone.

- Lo studio dell’Idratazione dell’Ossidiana, invece, dovrebbe esserlo: si tratta di misurare lo spessore dello strato d’idratazione, causato dall’ingresso di vapore, nelle superfici scheggiate del vetro vulcanico. Permetterebbe di studiare epoche comprese tra i 200 ed i 200000 anni fa…
Non mi pare che sia stato gran che utilizzato in Sardegna, da sardi. Fin qui sembra che quasi esclusivamente Tykot abbia condotto studi esaustivi in Sardegna. E dire che il costo non è improponibile....


(1) “Varv”, in svedese significa ‘deposito’. Il metodo è stato proposto dal geologo svedese De Geer, nel 1912.







Modificato da - maurizio feo in data 06/11/2011 13:22:48

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maurizio feo
Salottino
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Inserito il - 06/11/2011 : 13:27:58  Link diretto a questa risposta  Rispondi Quotando
Anche la Storia Antica è talvolta un buon metodo di datazione, limitatamente al periodo in cui esistono valide fonti storiche scritte (annali, elenchi di rappresentanti dello stato, genealogie di re, cronache di campagne belliche, etc.), il che, in genere, ci conduce indietro fino e non oltre al VII secolo a. C. circa, almeno per ciò che attiene al Mediterraneo.
Purtroppo, la Sardegna è - nella parte nuragica e prenuragica, esclusa da questa possibilità di valutazione: il che è un male ed un cronico cruccio doppio. Primo, per l'ignoranza di qualche cosa che si vorrebbe sapere e conoscere. secondo per l'arroganza di chi "ha capito" com'erano le cose sull'isola nei tempi antichi preistorici e ne scrive a più non posso (infatti, non se ne può più).
Ricomporre il rompicapo della storia antica per periodi antecedenti è compito più difficile, perché le cronologie di Mesopotamia ed Egitto non sono così affidabili come si pensava, o come alcuni ancora credono . Questo strumento non può essere utilizzato per la Sardegna (se non per la sua vita più recente), come si è già detto altrove e prima, perché le sue espressioni più antiche appartengono, di fatto, alla preistoria, con la prima grande civiltà comparsa nel Mediterraneo Occidentale, che però ci ha lasciato rarissime e controverse tracce di scrittura e poco d’altro, presentandoci tuttora più ombre che luci.







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