Forum Sardegna - Il Muto di Gallura - PARTE II - I Vasa e i Mamia
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Nota Bene: I bottoni d'argento del bolero, nel costume femminile festivo di Ittiri (Sassari) sono i più grandi usati in Sardegna.
L'intero complesso dei bottoni portato da una sola donna (20; 10 per manica) può arrivare anche al peso complessivo di 3 chili!. Alcune buttoneras sono realizzate completamente in filigrana d'oro.



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 Il Muto di Gallura - PARTE II - I Vasa e i Mamia
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ampuriesu

Utente Attivo



Inserito il - 28/01/2009 : 16:38:29  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di ampuriesu Invia a ampuriesu un Messaggio Privato
babborcu ha scritto:

quale museo? vuoi anche gli orecchini? esagerato!! hai gia tanto!!
il museo di Aggius BAbborcu. Tempo fa ho portato tutto ciò che h della tradizione aggese conpresi anche i pezzi a carattere religioso/supersizioso. Dovevi vedere come ammiravano i pezzi. Poi una volta che hanno saputo che appartenevano a persone che hann preso parte alla faida ancora più estasiati. Tra l'altro ho una camicia di fattura particolare appartenuta ad una signora di Giuncana che gli esperti di Aggius non hanno mai visto. Gli orecchini non li voglio ci mancherebbe altro ma la stessa mia zia ha fatto sparire la camisjiola di trisnonna quindi della moglie di Antoni Stevanu. Era talmente importante per la famiglia che un anno la teneva nonna e un'anno un'altra cugina di nonna. Un dì mia zia la volle per mostrarla in Liguria dove risiedeva e non si come è sparita senza averla più ritrovata. Quello che più mi dispiace eè la buttonera di 22 bottoni d'argento.








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Non importa quanto si da, ma quanto amore si mette nel dare!

 Regione Sardegna  ~ Prov.: Sassari  ~ Città: valledoria  ~  Messaggi: 897  ~  Membro dal: 16/10/2008  ~  Ultima visita: 15/03/2022 Torna all'inizio della Pagina

Petru2007

Moderatore




Inserito il - 28/01/2009 : 21:35:07  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
A proposito di matrimoni al tempo dei fatti narrati nel libro del Costa credo sia opportuno mettere in evidenza una situazione particolare.
All’epoca il matrimonio religioso non aveva alcun valore legale. Pertanto dopo la cerimonia dell’abbrazzu e tutto quello che ne seguiva, compreso il matrimonio ecclesiastico, la coppia si doveva recare ad Aggius per adempiere anche alla sottoscrizione del contratto matrimoniale valido anche dal punto di vista civile.
Non sempre ciò si verificava, per tutta una serie di svariati motivi, in primo luogo la lontananza del luogo di residenza dal capoluogo del Comune; d’altra parte per molta gente delle campagne quello che contava era essere in grazia di di Dio. Contro questo stato di cose, proprio in quel periodo, il Comune di Aggius non trovò altro rimedio che delegare il parroco della Trinità d’Agultu, a svolgere le funzioni di Ufficiale di stato civile, considerato che a questa località facevano capo la maggior parte degli abitanti degli stazzi. D’altra parte non era possibile fare altrimenti poichè le magre risorse comunali non permettevano di pagare un impiegato. Talvolta la mancanza di un riconoscimento civile poteva creare grossi problemi, per esempio quando si trattava di assegnare un’eredità. Per chiarire meglio il discorso porto ad esempio un caso emblematico di mia conoscenza: una cugina di Pietro Vasa, il cui marito fu ucciso alcuni giorni dopo il matrimonio religioso, senza che avessero avuto il tempo di andare ad Aggius per ottemperare all’obbligo civile, si ritrovò vedova e incinta di alcuni mesi. Considerando la questione dal punto di vista legale che diritti poteva avere il figlio nato da una persona non sposata?
Lo stesso Pietro Vasa, quando morì, aveva lasciato la moglie in attesa di una bambina, che nata qualche mese dopo, le fu imposto il nome di Pietrina, come era consuetudine in questi casi.

Bisogna dire però che quella attuata dal comune di Aggius non fu una soluzione ottimale, in quanto i preti venivano cambiati spesso, data la situazione. Oltre ai normali disagi, presenti in questi casi, vi erano quelli straordinari, come la possibilità di ricevere qualche fucilata.
Ad esempio il parroco che si recò ad assistere il Vasa, dopo il suo ferimento, ebbe un violento alterco con il ferito che, nonostante fosse in attesa dei sacramenti, incitava il cugino Michele Tansu a vendicarlo. Il sacerdote, Pietro Garrucciu tempiese, dopo il litigio con il Vasa, per timore di rappresaglie, andò via nello stesso giorno, e non fece più ritorno a Trinità d’Agultu.
In ogni caso era una delle tante situazioni nella quale lo Stato non era minimamente presente, se non per i gravosi balzelli e per la leva militare, alla quale il protagonista del romanzo non fu nemmeno convocato data la sua infermità; d’altronde non si sarebbe di certo presentato visto che all’epoca era già ricercato.








Modificato da - Petru2007 in data 29/01/2009 00:50:53

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Petru2007

Moderatore




Inserito il - 28/01/2009 : 21:39:44  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
Ampurie', sai, per caso, se esiste ancora "l'alburu di lu Mutu"?







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ampuriesu

Utente Attivo



Inserito il - 29/01/2009 : 08:56:51  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di ampuriesu Invia a ampuriesu un Messaggio Privato
Petru2007 ha scritto:

Ampurie', sai, per caso, se esiste ancora "l'alburu di lu Mutu"?
Non so niente a riguardo dell'albero. Tra l'altro non esiste più nemmeno la casa dei miei avi. L'unica cosa che esisteva sino a poco tempo fa era la porta della casa dove avvenne uno dei tanti omicidi della faida. Questa porta si trovava in una casa di L'avru e riportava il buco di un pallettone. All'interno della casa appena entravi sulla parete che sosteneva la porta una grossa croce di legno dipinta di nero che era stata sistemata in ricordo dell'omicidio. Alcuni anni fa i proprietari hanno restaurato la casa è hanno bruciato tutto. Quando ho chiesto loro un giorno che abbiamo avuto modo di incontrarci e mi hanno detto questa cosa, c'è mancato poco che commettessi un omicido.








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babborcu
Salottino
Utente Virtuoso




Inserito il - 29/01/2009 : 09:03:20  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di babborcu Invia a babborcu un Messaggio Privato
omicidio.. ampurie' vuoi rininiziare la faida??? comunque è un peccato che tante testimoniamze di un fatto che colpisce l'immaginario del pubblico vadano perse.. in qualche altra regione avrebbero allestito un miseo del muto,,, sarebbe visitatissimo!!! ciao








 Regione Sardegna  ~ Prov.: Sassari  ~ Città: Sassari  ~  Messaggi: 4364  ~  Membro dal: 18/02/2008  ~  Ultima visita: 28/05/2012 Torna all'inizio della Pagina

Parduledda
Salottino
Utente non attivo


Inserito il - 29/01/2009 : 09:07:58  Link diretto a questa risposta
Petru2007 ha scritto:

A proposito di matrimoni al tempo dei fatti narrati nel libro del Costa credo sia opportuno mettere in evidenza una situazione particolare.
All’epoca il matrimonio religioso non aveva alcun valore legale. Pertanto dopo la cerimonia dell’abbrazzu e tutto quello che ne seguiva, compreso il matrimonio ecclesiastico, la coppia si doveva recare ad Aggius per adempiere anche alla sottoscrizione del contratto matrimoniale valido anche dal punto di vista civile.
Non sempre ciò si verificava, per tutta una serie di svariati motivi, in primo luogo la lontananza del luogo di residenza dal capoluogo del Comune; d’altra parte per molta gente delle campagne quello che contava era essere in grazia di di Dio. Contro questo stato di cose, proprio in quel periodo, il Comune di Aggius non trovò altro rimedio che delegare il parroco della Trinità d’Agultu, a svolgere le funzioni di Ufficiale di stato civile, considerato che a questa località facevano capo la maggior parte degli abitanti degli stazzi. D’altra parte non era possibile fare altrimenti poichè le magre risorse comunali non permettevano di pagare un impiegato. Talvolta la mancanza di un riconoscimento civile poteva creare grossi problemi, per esempio quando si trattava di assegnare un’eredità. Per chiarire meglio il discorso porto ad esempio un caso emblematico di mia conoscenza: una cugina di Pietro Vasa, il cui marito fu ucciso alcuni giorni dopo il matrimonio religioso, senza che avessero avuto il tempo di andare ad Aggius per ottemperare all’obbligo civile, si ritrovò vedova e incinta di alcuni mesi. Considerando la questione dal punto di vista legale che diritti poteva avere il figlio nato da una persona non sposata?
Lo stesso Pietro Vasa, quando morì, aveva lasciato la moglie in attesa di una bambina, che nata qualche mese dopo, le fu imposto il nome di Pietrina, come era consuetudine in questi casi.

Bisogna dire però che quella attuata dal comune di Aggius non fu una soluzione ottimale, in quanto i preti venivano cambiati spesso, data la situazione. Oltre ai normali disagi, presenti in questi casi, vi erano quelli straordinari, come la possibilità di ricevere qualche fucilata.
Ad esempio il parroco che si recò ad assistere il Vasa, dopo il suo ferimento, ebbe un violento alterco con il ferito che, nonostante fosse in attesa dei sacramenti, incitava il cugino Michele Tansu a vendicarlo. Il sacerdote, Pietro Garrucciu tempiese, dopo il litigio con il Vasa, per timore di rappresaglie, andò via nello stesso giorno, e non fece più ritorno a Trinità d’Agultu.
In ogni caso era una delle tante situazioni nella quale lo Stato non era minimamente presente, se non per i gravosi balzelli e per la leva militare, alla quale il protagonista del romanzo non fu nemmeno convocato data la sua infermità; d’altronde non si sarebbe di certo presentato visto che all’epoca era già ricercato.



Mi piace, un racconto dentro l'altro .... come una matrioska ....









  Firma di Parduledda 
Se perderai anche tutti i tuoi beni, non disperare: potranno essere ritrovati. Se perderai l'onore, non disperare: forse potrai ricostruirti una nuova fama. Ma se perderai il coraggio, ogni via di ripresa ti sarà preclusa.
Goethe


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ampuriesu

Utente Attivo



Inserito il - 29/01/2009 : 09:32:48  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di ampuriesu Invia a ampuriesu un Messaggio Privato
babborcu ha scritto:

omicidio.. ampurie' vuoi rininiziare la faida??? comunque è un peccato che tante testimoniamze di un fatto che colpisce l'immaginario del pubblico vadano perse.. in qualche altra regione avrebbero allestito un miseo del muto,,, sarebbe visitatissimo!!! ciao
Si omicidio... tanto la mia famiglia c'è sempre stata dentro. Pensa che mio bisnonno a causa della faida è stato latitante per quasi trent'anni el'hanno riportato a casa da morto. Scherzi a parte, hai ragione quando dici che bisogna preservare le testimonianze del passato. Questi fratelli di L'avru hanno sempre vissuto nello stazzo, hanno sempre visto pochissima gente (tra l'altro L'Avru è proprio spopolato e mi sa che ci vivono loro e un'altra famiglia), quindi non è stato buttato tutto per cattiveria ma forse ppiù per ignoranza. Per loro avere a che fare con questi cimeli era quotidianità; avere a che fare con una croce simbolo della faida più sanguinosa della Gallura era come avere a che fare con un letto o con un piatto della loro cucina quindi hanno pensato di rimordernare la casa e buttare tutto ciò che era vecchio. Tra l'altro croce e porta sono stati bruciati. Danno nel danno,,,altrimenti sarebbero stati già a casa esposti in salotto








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Parduledda
Salottino
Utente non attivo


Inserito il - 29/01/2009 : 10:22:01  Link diretto a questa risposta
ampuriesu ha scritto:

babborcu ha scritto:

omicidio.. ampurie' vuoi rininiziare la faida??? comunque è un peccato che tante testimoniamze di un fatto che colpisce l'immaginario del pubblico vadano perse.. in qualche altra regione avrebbero allestito un miseo del muto,,, sarebbe visitatissimo!!! ciao
Si omicidio... tanto la mia famiglia c'è sempre stata dentro. Pensa che mio bisnonno a causa della faida è stato latitante per quasi trent'anni el'hanno riportato a casa da morto. Scherzi a parte, hai ragione quando dici che bisogna preservare le testimonianze del passato. Questi fratelli di L'avru hanno sempre vissuto nello stazzo, hanno sempre visto pochissima gente (tra l'altro L'Avru è proprio spopolato e mi sa che ci vivono loro e un'altra famiglia), quindi non è stato buttato tutto per cattiveria ma forse ppiù per ignoranza. Per loro avere a che fare con questi cimeli era quotidianità; avere a che fare con una croce simbolo della faida più sanguinosa della Gallura era come avere a che fare con un letto o con un piatto della loro cucina quindi hanno pensato di rimordernare la casa e buttare tutto ciò che era vecchio. Tra l'altro croce e porta sono stati bruciati. Danno nel danno,,,altrimenti sarebbero stati già a casa esposti in salotto


Ampuriè !!!!!!!!!!!!

Ti darei una randellata virtuale sui denti !!! Certe frasi neanche per scherzo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!









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Petru2007

Moderatore




Inserito il - 29/01/2009 : 10:41:53  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
Certamente anche nelle campagne di Bortigiadas non si scherzava in fatto di faide. Ne parlò anche lo scrittore Pietro Casu in una delle sue opere più famose descrivendo la faida tra Zinilca e Scroccia, al centro della quale vi è una tenera storia d’amore fra due giovani appartenenti alle due parti in lotta. A questa inimicizia non fu estraneo il Giovanni Antonio Spano “Ciacciaredda” (nel libro del Muto è il cugino Giuseppe), in quanto la sua famiglia ebbe una parte molto attiva in tutta la storia.
L’omicidio di Anton Stefano Pes, padre della Gavina (all’anagrafe Francesca Pes), però non c’entra niente con la faida tra Mamia e Vasa, in quanto fu commesso il 5 luglio 1857, cioè quando le armi erano state deposte da oltre un anno, con la solenne cerimonia delle paci di San Sebastiano del 26 maggio 1856.



Immagine: La borgata rurale di L'Avru, così come appare nel 2009

53,5 KB



Immagine: Antica casa di L'Avru appartenuta alla famiglia Pes


86,19 KB









  Firma di Petru2007 

Nuraghe Succuronis

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babborcu
Salottino
Utente Virtuoso




Inserito il - 29/01/2009 : 11:01:10  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di babborcu Invia a babborcu un Messaggio Privato
beh!! la casa è discretamente conservata... male pale eoliche sul paesaggio...

petru... mi sa che le scintille sentimentali che fanno scoppiare le faide sono apparenti... sempre cose d'amore??' mi sa che questa e spesso una scusa. come nella guerra di troia, e nasconda motivi più terra terra.. interessi ... ma è soprattutto l'orgoglio cieco delle persone... il terreno fertile sul quale nascenano!!









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Petru2007

Moderatore




Inserito il - 29/01/2009 : 11:53:47  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
babborcu ha scritto:
è un peccato che tante testimoniamze di un fatto che colpisce l'immaginario del pubblico vadano perse.. in qualche altra regione avrebbero allestito un miseo del muto,,, sarebbe visitatissimo!!! ciao



Facile a dirsi... la realtà è un po' diversa
Fra la gente di Trinità d’Agultu e di Vignola ai cui territori appartenevano i protagonisti e dove effettivamente si svolsero i fatti relativi alla faida, il sentimento comune è stato sempre quello di cercare di dimenticare quel triste periodo, quasi nel timore di nuove inimicizie. Nel circondario invece si è sempre enfatizzato tale avvenimento, fino a farlo diventare una vicenda romanzata, abbastanza conosciuto anche al di fuori, travisandone la realtà che in pratica è diventata quella descritta dal Costa.

Per dare un’idea di ciò riporto quanto mi dichiarò personalmente Michele “Migaleddu” Mamia (1922-2003), abitante nello stazzo Lu Naragheddu di Vignola, a poca distanza da quello di La Ghjunchizza, in un caldo pomeriggio di fine estate del 1989:
"Non sono un cultore di storie del passato e non so se potrò fornire molte informazioni; per anni sono stato impelagato in altre faccende e non me ne sono curato molto. Non posso affermare, non sta certo a me dirlo, se il mio bisnonno Antonio Mamia fosse un grande saggio e se i suoi parenti fossero farina per fare ostie oppure no. So con certezza che possedeva lo stazzo di La Ghjunchizza, dove fino a pochi anni fa nei pressi di una quercia secolare vi erano anche i ruderi della casa. Non so esattamente quale ruolo abbia avuto nella faida. So solo che sposò Maddalena Satta, credo di Vignola, e dei figli nati dalla loro unione conosco solo i nomi di quattro: Giacomo, Michele, Mariangela e Pasqua. Giacomo il maggiore, allo scoppio delle ostilità si diede alla latitanza assieme ad alcuni dei parenti Pileri; so che era un personaggio molto temuto a causa del suo carattere, ostinato e crudele. Michele fu ucciso, ma questo lo sanno tutti; la mia bisnonna all’epoca del fatto era incinta e alla fine di quel triste anno 1850 diede alla luce mio nonno, al quale fu posto lo stesso nome del ragazzo appena ucciso. Mariangela, lo sanno un po’ tutti, dopo la rottura con Pietro Vasa, sposo Giovanni Battista Spezzigu, mentre Pasqua sposò un tale Pasquale Paggiolu, ma non fu un’unione felice. L’orgoglio maledetto delle due opposte fazioni, causò tutta una serie di lutti. Il mio bisnonno e la sua famiglia ripararono ad Aggius e lo stazzo di La Ghjunchizza, assieme ad altre terre limitrofe, fu venduto. Ignoro la data e il luogo nel quale venne ucciso. So solo che la mia bisnonna, qualche anno dopo si risposò”.

Secondo il Costa invece la madre di Mariangela era una vecchietta, sicuramente non lo era, visto e consideato che quando fu ucciso il giovane Michele era in attesa di un bambino.

Sempre il Mamia che continua:
“Mio nonno, del quale porto lo stesso nome, fratello di Mariangela si sposò invece con Martina Doro Concas di Aggius; dalla loro unione, nacque Leonardo, mio padre. Non so esattamente quali vincoli di parentela ci fossero con i Pileri di Trinità ma so che vissero sempre in armonia e perfetta unità di intenti con la mia famiglia. Un bel dì, tanto per fare un esempio, un tizio di Vignola, del quale non faccio il nome, per i soliti motivi di contrasto tra proprietari terrieri, penso bene di eliminare mio nonno Michele; a tale scopo contattò un tale Busciacca, dei dintorni di Trinità, e questi ebbe la brillante idea di rivolgersi a un certo Giovanni Antonio Pileri, latitante con tanto di taglia sul groppone. Sapete cosa rispose il nostro amico? Provaci tu a sparare su Michele Mamia, e poi vedrai cosa ti succede. Imbecille, lo sa tutta la Gallura che con i Mamia “z’emmu paltutu lu sangu”....

Mi meravigliai molto osservando l'atteggiamento del Mamia quando dichiarava queste cose; era molto sereno e pacato, quasi raccontasse delle storie a lui estranee, eppure i suoi familiari furono coinvolti integralmente nella faida, considerato che la madre si chiamava Agostina Vasa....








Modificato da - Petru2007 in data 29/01/2009 13:45:46

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babborcu
Salottino
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Inserito il - 29/01/2009 : 12:09:33  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di babborcu Invia a babborcu un Messaggio Privato
petru: sarà stata rassegnazione o fatalismo o laconsapevolezza di non poter cambiare quel che avvenne... comunque hai ragione,, per noi alla lontana i fatti sono avvenuti in un universo lontano, mitico , come appartenessero al medioevo, in realtà non sono così lontani e furono tanto sanguinosi, che i discendenti di chi ne fu coinvolto non possono aver dimenticato ed avere l'atteggiamento distante che abbimo noi "estranei""








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Petru2007

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Inserito il - 29/01/2009 : 12:29:21  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
babborcu ha scritto:

beh!! la casa è discretamente conservata... male pale eoliche sul paesaggio...

petru... mi sa che le scintille sentimentali che fanno scoppiare le faide sono apparenti... sempre cose d'amore??' mi sa che questa e spesso una scusa. come nella guerra di troia, e nasconda motivi più terra terra.. interessi ... ma è soprattutto l'orgoglio cieco delle persone... il terreno fertile sul quale nascenano!!



D’accordo sulle pale eoliche che non sono certo belle a vedersi... qualche mese fa un anziano signore di quelle parti mi dichiarò che quelle pale che girano... fanno veramente girare le pale...

In quanto alle cause lascerei perdere le motivazioni a tinte rosa per ritornare un po più con i piedi per terra.
La faida ha la sua origine in tutta una serie di piccoli conflitti locali, comuni a tutta la Sardegna, causati soprattutto dal famigerato editto delle chiudende che intorno a metà del secolo ebbero il suo culmine. Sarebbe passata inosservata, mescolata alle tante inimicizie del mondo agropastorale sardo, senza la penna del Costa, istigato dal Giovanni Antonio Spano (Giuseppe nel romanzo) che voleva tramandare ai posteri una specie di romanzo della sua vita. In effetti tutta la vicenda è vista dalla parte di costui, che non avendo vissuto in prima persona tutte le fasi precedenti non poteva conoscere fatti e persone.
Il Costa capitò ad Aggius, in quanto amico dell’avvocato Michele Pisano, tra l’altro autore di diversi componimenti in versi con vari pseudonimi, che a sua volta era molto legato ad Anton Pietro Spezzigu, persona di buona cultura, e molto in vista nella Aggius di allora, dove fu per molti anni sindaco; costui era l’unico figlio di Mariangela Mamia, per cui apprendere la storia del fidanzamento mancato con il Vasa e di tutto quello che ne seguì, fu abbastanza semplice.
Tuttavia ad Aggius non ottenne poi molte altre informazioni; la stessa Mariangela pare fosse abbastanza restia a parlarne; si sa tra l’altro che il Costa tento più volte di fotografarla, per tramandare la sua immagine ai posteri, ma costei si rifiutò sempre decisamente.
Allora si rivolse a Giovanni Antonio Spano, che ovviamente raccontò le cose alla sua maniera. Il Costa poi proseguì l’opera e provò a contattare i discendenti dei Vasa, Tansu, Pileri e Mamia, diretti protagonisti della faida, abitanti nella zona di Trinità d’Agultu, definita dagli aggesi con il nomignolo di “la Tana di li ‘Espi”, dato il carattere turbolento dei suoi abitanti, e il cui territorio all’incirca può essere definito un triangolo ai cui vertici si possono collocare gli stazzi di Lu Naragheddu, La Paduledda e Li Colti, con al centro l’attuale paese di Trinità d’Agultu, all’epoca costituito solo dalla chiesa e da un paio di casette adiacenti, fra cui quella del parroco. Nella maniera più assoluta, questa gente si rifiutò di collaborare con il Costa. Erano ancora troppo fresche le tombe e i rancori non completamente assopiti; il solo rivangare certe storie avrebbe potuto portare a nuove inimicizie e lutti. Un vecchio abitante di Trinità d’Agultu, deceduto una ventina d’anni fa, e discendente di un fratello di Pietro Vasa, ripeteva sempre che se fosse stato vivo lo zio, al tempo della pubblicazione del libro, al Costa non sarebbe mancato il “giusto premio” per la sua opera...








Modificato da - Petru2007 in data 29/01/2009 12:41:49

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Nuraghe Succuronis

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babborcu
Salottino
Utente Virtuoso




Inserito il - 29/01/2009 : 12:37:41  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di babborcu Invia a babborcu un Messaggio Privato
petru: era questo che immaginavo e che volevo ( con le chiare coordinate che possiedi) tu riportassi, perchè chiarisce molti aspetti del dietro le quinte..
la mia amica ,imparentata con i mamia , svia sempre il discorso... commentando che per l'essere umano il confine fra la lucidità e la follia è molto labile..









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Petru2007

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Inserito il - 29/01/2009 : 14:37:32  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Petru2007 Invia a Petru2007 un Messaggio Privato
Si... certamente la lettura del romanzo del Costa non può prescindere da un confronto con la sua effettiva collocazione spaziotemporale.
La stessa figura del Muto, che nella vicenda ebbe un ruolo da comprimario, e non poteva essere altrimenti, data la sua menomazione, nel romanzo diventa una figura con ben altre caratteristiche; sicuramente in grado di affascinare un pubblico di lettori per così dire "di citta" e poco a conoscenza di quella che era la vita degli stazzi in zone sperdute isolate dal resto del mondo. Gente che, a causa di un fisico debilitato talvolta dalla malaria, ci lasciava le penne per una banale influenza, appendicite o gastroenterite, oppure di giovani donne che nel dare alla luce le proprie creature spesso perivano assieme ad esse, a causa di un’assistenza sanitaria assolutamente inesistente. A queste si devono aggiungere le frequenti carestie, determinate magari da un’annata di siccità o di gelo o anche da una invasione di cavallette. Solo entrando in sintonia con questo mondo, con il suo sistema di vita si possono capire gli atteggiamenti e i comportamenti di quella gente che a volte inquadrati nel nostro sistema di vita attuale restano incomprensibili. Gente abituata a vivere in un ambiente estremamente difficile, ne assumeva i caratteri che li portavano ad essere temprati contro certe situazioni contingenti che si presentavano.
La testardaggine e l’ostinazione di Pietro Vasa che si rifiuta dare ragione ai suoi avversari Pileri, anche a costo di trascinare tutti in un baratro infernale, va vista in questo modo.
A sua parziale attenuante va detto che una certa tradizione orale addirittura riporta che furono i Pileri a uccidere le proprie capre per poi dare la colpa al Vasa, secondo un piano oscuro che prevedeva l’eliminazione di Pietro per accaparrarsi i suoi vasti possedimenti terrieri. Per i Pileri una simile eventualità sarebbe stata una manna dal cielo, visto che erano confinanti e che uno di loro aveva sposato una sorella di Pietro Vasa.
Lo stesso Vasa pur essendo testardo e irascibile, fino all’eccesso, in seguito si dimostrò rispettoso delle usanze e consuetudini che da sempre nel mondo agropastorale costituivano una sorta di codice, non scritto, al quale però tutti si attenevano. Dopo la rottura con i Mamia, e dopo che una sentenza del tribunale popolare dei rasgiunanti gli aveva dato torto, risarcì i Pileri per il danno delle capre, addirittura in misura superiore al loro effettivo valore.
Aveva sicuramente anche un buon sentimento religioso visto che dopo lo scampato pericolo relativo all’agguato del giorno di San Giuseppe del 1849, nel quale fu ferito, fece un lascito alla parrocchia di Trinità d’Agultu di 36 scudi e 4 reali, per la celebrazione di una Messa nell’anniversario del tragico avvenimento.
Praticamente un uomo di quel tempo perfettamente inserito in un ambiente di quello stesso periodo.








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