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Nota Bene: L’Alta Marmilla, terra dell’oro nero dell’antichità: l’ossidiana, lo scuro vetro vulcanico tanto prezioso per i nostri antenati del neolitico. Facilmente raggiungibile ma ancora sconosciuta: un viaggio tra natura, storia e tradizioni.



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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
jomaru Inserito il - 19/08/2011 : 13:47:11
Cari amici sono mancato un pò dal nostro forum e siccome in parte questo è stato determinato da qualche visita di troppo ad ospedali "continentali", colgo occasione di (ri?)proporre un problema che riguarda tantissimi sardi: il favismo.

Se un medico ti sottopone all'anamnesi e sentito dire che sei fabico replica "Eh da quando?!" allora credo che ci si possa cominciare a preoccupare...

Il nostro forum ha il merito di raccogliere iscritti in tutta la Sardegna, ma anche in Italia e all'estero, per cui vi voglio segnalare il sito dell'Associazione italiana favismo, che oltre a fornire importantissime informazioni, si occupa di sensibilizzare la necessità di colmare il deficit formativo di molti operatori sanitari in merito all'esistenza di soggetti carenti di g6pd.

Ecco il sito dell'associazione:

http://www.g6pd.org/favism/italiano...?pgid=myhome

Il successivo link è invece un utilissimo depliant che ogni fabico dovrebbe avere sempre con sè, soprattutto fuori dalla Sardegna...

http://www.g6pd.org/favism/italiano/depliant.pdf

Grazie a tutti per l'attenzione Jomaru
15   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
Rita Niffoi Inserito il - 06/07/2012 : 18:49:13
Sono capitata per caso in questa discussione e la trovo interessante. E' vero che la carenza di G6PD è spesso misconosciuta dagli stessi medici in diverse zone dell'Italia. Naturalmente in Sardegna il problema è conosciuto e considerato nella pratica quotidiana; lo screening neonatale viene fatto sempre e da alcuni anni al vecchio test di Brewer si è sostituito il dosaggio dell'enzima, quindi non sfuggono al controllo le femmine con deficit parziale. Nei libretti pediatrici la segnalazione della carenza enzimatica viene spesso riportata nella pagina iniziale, con i dati anagrafici; i pediatri e i medici, a mio parere, considerano il problema con la dovuta importanza. La questione spesso sorge con i sardi in continente, in particolare, per la mia esperienza, in Toscana dove si trovano nostri corregionali a iosa eppure anche in centri di prestigio manca una corretta informazione. Io consiglio sempre un "aiutati che il ciel ti aiuta", se hai quel problema o lo ha tuo figlio, tienilo e fallo presente in occasione di visite, ricoveri, somministrazione di farmaci...e non solo, attenzione alle mense scolastiche! Poi, portare sempre il libretto con i propri dati e le segnalazioni del medico di fiducia. Per quanto riguarda invece il rapporto tra carenza di G6PD e longevità sono scettica, i dati non mi sembrano convincenti, comunque aspettiamo..
jomaru Inserito il - 07/10/2011 : 15:35:34
Cari amici continuo a postare qualche documento di tanto in tanto, sperando che qualcuno possa ritenerlo utile e beneficiarne leggendolo.

Non solo con i medicinali da farmacia il carente di G6PD deve stare vigile, ma anche con quelli di origine vegetale.

L’uso di medicinali a base di erbe è molto diffuso in Cina dove questi prodotti rappresentano più del 70% dei rimedi inclusi nella farmacopea tradizionale, ma anche negli Stati Uniti e in Europa si fa largo uso di prodotti erboristici. Negli ultimi anni la Comunità Europea ha emesso una direttiva, recepita in Italia (DL.vo n. 219 del 2006), che prevede una procedura di registrazione semplificata per i medicinali vegetali tradizionali per i quali spesso non esistono dati sufficienti, ad esempio studi clinici, per essere autorizzati con le procedure che attualmente regolano l’immissione in commercio dei farmaci. La direttiva si basa sul presupposto che l’uso tradizionale, pluriennale del medicinale possa in qualche modo sostituire la sperimentazione clinica. I dati disponibili in letteratura sull’eventuale effetto emolitico di queste sostanze nei soggetti con deficit di G6PD sono scarsi e riguardano poche sostanze rispetto alla varietà dei prodotti erboristici esistenti. In un recente studio sono stati analizzati, con metodi in vitro e in vivo su animali di laboratorio, diciotto rimedi a base di erbe usati nella medicina tradizionale cinese; sei di questi (Rhizoma Coptidis, Cortex Mountain, Radix Rehmanniae, Rhizoma Polygoni Cuspidati, Radix Bupleuri e Flos Chimonanthi) hanno dimostrato un forte potere ossidante su eritrociti carenti di G6PD. In particolare il Rhizoma Captidis ha provocato gravi episodi emolitici fra i neonati in Cina dove è usato nella terapia dell’ittero neonatale. Va segnalato, inoltre, almeno un caso in cui anche l’uso topico di un prodotto erboristico contenente una elevata percentuale di mentolo ha provocato una crisi emolitica in un paziente con deficit di G6PD. Altra sostanza di origine vegetale fortemente rischioso per le persone con deficit di G6PD è il Lawsone usato più come cosmetico che come farmaco e comunemente noto con il nome di hennè. I popoli di cultura araba usano l’hennè sin da tempi antichissimi per decorare alcune parti del corpo, soprattutto piante dei piedi, palme delle mani e volto in occasioni importanti della vita sociale o religiosa, ma da alcuni anni l’uso dell’hennè si è diffuso anche nei popoli occidentali come colorante per capelli o per i tatuaggi.

© Istituto Superiore di Sanità 2009
Istituto Superiore di Sanità
Deficit di glucosio fosfato deidrogenasi e farmaci.
Donatella Maffi, Maria Pia Caforio, Maria Teresa Pasquino, Patrizia Caprari
2009, 31 p. Rapporti ISTISAN 09/47


Documento completo:

http://www.iss.it/binary/publ/cont/0947web.pdf

jomaru Inserito il - 07/10/2011 : 15:07:02
Una leggenda che sà di fav...ola

La leggenda del Castello della Fava
Si racconta che intorno al 1300 una flotta di Saraceni sbarcò sulle coste di Posada. I Turchi (o Saraceni), considerata l'ostile conformazione del territorio, si resero conto che sarebbero riusciti a completare l'assedio solamente nel caso in cui la popolazione fosse ridotta alla fame, ovviamente loro non potevano sapere che la gente si trovava veramente in quella situazione, e si accamparono nella spiaggia in attesa di sviluppi. Quando il Giudicato di Gallura, una delle cui sedi era proprio nella torre, vennero informati dell'assedio, al Castello scoppiò il panico, Posada non sarebbe mai riuscita a sostenere un qualche combattimento. Durante l'ennesima riunione dei Giudici, qualcuno ebbe un'idea, che si rivelò poi quella giusta: fecero mangiare ad un piccione un pugno di fave, le ultime rimaste, lo ferirono leggermente e lo fecero volare in direzione degli accampamenti nemici. Il piccione non resse il volo e cadde proprio nelle tende degli arabi, i quali, incuriositi dallo strano gonfiore del ventre del volatile, lo aprirono e vi trovarono le fave. Dedussero allora che, se la popolazione aveva così tanto cibo da poterne dare una tale quantità a un animale, non c'era alcuna possibilità di concludere l'assedio; i Saraceni lasciarono le coste e a Posada fu festa per giorni e giorni...



Povero piccione, forse a suo modo, era fabico anche lui!

jomaru Inserito il - 05/10/2011 : 13:30:34
Uno scienziato da ricordare: Ernest Beutler

Ernest Beutler nasce a Berlino, il 30 settembre 1928, da una famiglia ebraica. Nel 1935, quando Beutler aveva sette anni, la sua famiglia emigra negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste. Beutler cresce a Milwaukee, nel Wisconsin.

Completa la sua laurea alla facoltà di medicina presso l'Università di Chicago, e consegue il dottorato in medicina nel 1950, all'età di 21.

Nel 1953, Beutler viene assegnato al programma di ricerca sulla malaria nell'esercito degli Stati Uniti. Durante questo periodo, lavora presso la prigione di Joliet nell'Illinois (1953-1954), indagando l'anemia prodotta da farmaci antimalarici. Nel corso del suo lavoro, è il primo a identificare il glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G-6-PD)

Nel 1959, diviene presidente del Dipartimento di Medicina del City of Hope National Medical Centre di Duarte, in California, e nel 1979 assume la presidenza del Dipartimento di Ricerca Clinica presso la Scripps Clinic and Research Foundation. Tre anni dopo, gli viene chiesto di diventare presidente del Dipartimento di Medicina Molecolare e Sperimentale presso lo Scripps, che in seguito diviene Scripps Research Institute di La Jolla, in California. Mantiene la sua posizione fino al suo 80° compleanno, pochi giorni prima della sua morte (5 ottobre 2008).

Oggi sono tre anni esatti dalla sua scomparsa.

http://en.wikipedia.org/wiki/Ernest_Beutler
jomaru Inserito il - 04/10/2011 : 12:44:38
La confusione sugli alimenti e i farmaci da evitare
Si calcola siano state riscontrate circa 400 varianti di favismo e non essendoci purtroppo studi sufficentemente approfonditi su di esse, c'e una grande incertezza riguardo ai farmaci e agli alimenti da evitare (per sincerarsene basta leggere i vari siti occupatisi dell'argomento).

In breve, sembra che a parte le fave non si sia sicuri di nulla: si leggono interventi in cui sono banditi fave (ovviamente) e piselli, fagiolini e altri legumi, mirtilli e pesche acerbe, e chissà cos'altro ancora...

Personalmente chiacchierando con gli ematologi con cui ho avuto modo entrare in contatto, nulla di tutto ciò sembra avere riscontri scientifici e durante un recente ricovero al quale sono stato sottoposto, fagiolini, piselli e pesche (mature?), facevano parte del mio "appetitoso" menu ospedaliero e vi assicuro, che varcata la soglia di entrata dell'ospedale, 5 minuti dopo, anche il personale addetto alle pulizie era al corrente che fossi fabico...).

Le varie liste dei farmaci vietati in maniera categorica, somministrabili solo a piccole dosi o innocui, sono spesso in netta contraddizione tra loro...

Per quanto riguarda i farmaci, credo che allo stato attuale delle cose, l'atteggiamento migliore sia quello della prudenza, ovvero è consigliabile comparare le liste in circolazione e attenersi a quella più severa...

Ritengo comunque necessaria l'istituzione di una lista ufficiale (alimenti e farmaci) da parte del sistema sanitario regionale sardo in primis, da estendere poi come direttiva nazionale, che elimini le molteplici versioni fuorvianti e contribuisca a fare un minimo di chiarezza.
jomaru Inserito il - 03/10/2011 : 16:56:46
Una piccola curiosità "fabico-calcistica"...

Angelo Peruzzi (ex portiere della Juventus e della Nazionale) e Salvatore Sirigu (portiere del PSG e della Nazionale) sono entrambi carenti di G6PD.

Non conosco altri esempi di sportivi professionisti così noti e per questo potrei essere smentito, ma probabilmente, siccome i portieri fanno una preparazione diversa e molto meno pesante rispetto agli altri calciatori, questa loro condizione non è stata di impedimento alcuno a una carriera ai massimi livelli.

Detto ciò vorrei essere chiaro su un punto: secondo me il favismo non pregiudica le prestazioni di un atleta, ma potrebbe esporlo a più rischi senza le debite contromisure. Questo solo per non sentirmi dire frasi del tipo "io ho vinto il campionato nazionale di...eppure sono fabico!"

Cosa credevate?! Che io fossi un mollaccione?! Anche io sono un campione in vari sport, ho vinto tutto, eppure sono fabico !!!

chissà perché ridono...
jomaru Inserito il - 03/10/2011 : 12:53:36
Chiunque di noi sa che i soggetti con deficit di G6PD, conducono uno stile di vita pressocché identico rispetto ai non carenti, pur essendo chiamati ad osservare alcune regole e ad esercitare molto buon senso.

A questo proposito, mi sono chiesto che ruolo possa svolgere l'attività sportiva nell'esistenza dei fabici.

Secondo il Dr. Arduino Baraldi (specializzato in microbiologia e virologia, medicina di laboratorio, igiene e medicina preventiva, perfezionato in Ematologia), i soggetti favici che praticano sport, devono adottare delle precauzioni ulteriori poiché lo sforzo muscolare comporta un aumento dello stress ossidativo. In primo luogo potranno svolgere solo esercizi fisici di bassa o media intensità e, in più, per tutto il periodo di allenamento dovranno assumere ogni giorno integratori ricchi di antiossidanti; per esempio, non possono fare lunghi allenamenti in piscina chiusa, perché il cloro che viene inalato aggrava appunto la situazione di stress ossidativo; la ricerca ha dimostrato che le molecole più efficaci sono vitamina E, selenio, acido lipoico, glutatione e composti fenolici.

Ricapitolando
Per tutti l'esercizio fisico, praticato nel modo corretto, è un elemento fondamentale alla base di una vita sana, ma, in questo caso per i fabici, è senz'altro consigliabile seguire i suggerimenti dell'esperto, adottando le necessarie precauzioni.
maurizio feo Inserito il - 03/10/2011 : 06:28:32
jomaru Inserito il - 02/10/2011 : 19:54:58
maurizio feo ha scritto:

Sì: hai fornito notizie molto utili e complete.
Partendo da un dato che colpisce maggiormente, per la sua presentazione di tipo giornalistico (e quindi l'impostazione fabolistico-faularza, anche se poi il contenuto non è affatto favolistico, bensì solidamente scientifico), ti sei spinto verso un'attività che non è solamente divulgativa ed informativa, ma che ha un preciso significato sociale per tutti.
A parte questo mio apprezzamento, ho da farti una domanda: posso saccheggiare quello che hai scritto e passarlo ad un blog di un amico?
Naturalmente, non ho la minima intenzione di citare il tuo nome...
Posso commettere la bassa iniquità?
Sappi che attendo il tuo permesso, ma fremo d'impazienza!

E questo - in fondo - è un gran bel complimento Jomaru!
(...meritato...)
MF



Grazie Maurizio, tuttavia siccome mi "accusi" di uso indebito di "impostazione fabolistico-faularza", ho dato mandato ai miei avvocati di citarti in giudizio davanti all'Alta Corte dei Giornalai Borgatari...

Igor Stravinskij, in risposta ad accuse di plagio disse: "I grandi artisti non copiano, rubano", quindi autorizzo il "saccheggio", del quale io stesso sono solito macchiarmi...




maurizio feo Inserito il - 02/10/2011 : 19:06:57
Sì: hai fornito notizie molto utili e complete.
Partendo da un dato che colpisce maggiormente, per la sua presentazione di tipo giornalistico (e quindi l'impostazione fabolistico-faularza, anche se poi il contenuto non è affatto favolistico, bensì solidamente scientifico), ti sei spinto verso un'attività che non è solamente divulgativa ed informativa, ma che ha un preciso significato sociale per tutti.
A parte questo mio apprezzamento, ho da farti una domanda: posso saccheggiare quello che hai scritto e passarlo ad un blog di un amico?
Naturalmente, non ho la minima intenzione di citare il tuo nome...
Posso commettere la bassa iniquità?
Sappi che attendo il tuo permesso, ma fremo d'impazienza!

E questo - in fondo - è un gran bel complimento Jomaru!
(...meritato...)
MF
jomaru Inserito il - 02/10/2011 : 16:06:02
Internet è una grande risorsa e credo che ognuno di noi possa trarne giovamento se ha in cuor proprio il desiderio sincero di dare e di ricevere: vedere, o meglio, leggere le insulse schermaglie così frequenti sui forum, ti fa venir voglia di andare oltre e preferire il dialogo con quattro persone educate, piuttosto che la rissa con 10 imbecilli...

Io sono "iscritto al club mondiale" dei carenti di G6PD e ritengo un dovere, nei miei e nei confronti di chi mi vuole bene, cercare attraverso la conoscenza di assottigliare il più possibile il rischio di incorrere in spiacevoli conseguenze. Se poi, il forum che ci ospita, può essere l'agorà virtuale dove discutere e condividere, non posso che esserne felice.
maurizio feo Inserito il - 02/10/2011 : 12:07:34
Comunque, la genetica entra in tutti gli studi sulla malaria in Sardegna (ed anche fuori di essa, a dire il vero), perché la risposta immunologica al Plasmodio è figlia della composizione genica di ciascuna popolazione e la composizione genetica è spesso molto differente, tra una popolazione e l'altra... A parte gli studi dimostranti la grande "distanza genetica" esistente tra i Sardi e tutte le altre popolazioni del mondo, altri studi genetici si prestano a considerazioni di qualche interesse, anche per chi non sia esperto di genetica. In Sardegna si riscontra la frequenza più bassa del gene RH-negativo (20%) rispetto a tutte le regioni del Mediterraneo. Si ha, sorprendentemente, la più elevata frequenza mondiale del gene MNS*M (78%), oltre ad una frequenza unica del gene DIA2. Anche per l’HLA*18 la Sardegna presenta la più alta frequenza del mondo.

Per la Talassemia, la variante molecolare Beta39 è molto frequente sull’isola, mentre ovunque altrove è rara. Questa situazione è stata in qualche modo determinata da altri potenti fattori selettivi, che sono la migrazione e la deriva genetica, di cui ho scritto anche altrove, in questo forum.

Questo vale a dire che i Sardi, oggi, sono diversissimi da tutte le altre popolazioni circostanti (proprio tutte quelle esistenti nel mondo, non solo quelle che si affacciano nel mediterraneo). Ma comprensibilmente così diversi non lo sono stati sempre, bensì lo sono diventati, nel tempo, per effetto delle forze ambientali descritte, secondo precisi meccanismi, ben noti alla Genetica.
Tali meccanismi sono scientificamente accertati sull'isola.

E’ stato stimato che la popolazione Sarda del Paleolitico potrebbe essere stata composta soltanto da 700 – 1800 individui. Questo numero è (solo nei predetti limiti) opinabile e ad alcuni sembra troppo esiguo e frutto di speculazione dettata da motivi non scientifici.
In ogni caso, il numero deve assolutamente essere stato molto ridotto, tanto da permettere alla deriva genetica di produrre le enormi differenze in frequenza genica che noi osserviamo oggi. Su popolazioni numerose, infatti, tali fenomeni genetici non riescono ad agire e non si verificano.
Per i Neolitici ed i Nuragici dobbiamo supporre meccanismi analoghi ed anche per loro non si può del tutto escludere un ridotto numero di fondatori.
Comunque sia, anche per quanto riguarda la risposta alla malaria, i Sardi producono e possiedono una variante molecolare antigenica differente e del tutto distintiva, ripetto alle altre popolazioni che furono esposte al medesimo antigene....
Diversa, naturalmente, è la questione della carenza enzimatica G6PDH e degli effetti collaterali della stessa: gli effetti esistono e si esprimono solamente sul piano biochimico e metabolico, pur riconoscendo la malattia una causa prima genetica...
Queste asserzioni non sono ipotesi, ci tengo a ripetere, anche se vengono spesso accolte negativamente come tali da chi non mastica di genetica: ma sono controllabili presso qualunque genetista di popolazione, in fondo....

Ma credo - infine - che tutte le notizie che stai fornendo siano estrememente interessanti: io stesso lo ho constatato nel caso di alcuni miei conoscenti sardi, che erano stati ricoverati per una reazione emolitica, molti anni fa. Non erano a conoscenza di tutta la legislazione in merito e si sono scaricati l'elenco che tu fornisci.
Stai svolgendo un servizio sociale!
M
jomaru Inserito il - 02/10/2011 : 12:06:01
Nessun fastidio per quanto mi riguarda, ma sappiamo entrambi quanto sia pericoloso deviare il ragionamento sui sentieri accidentati delle tracce archeologiche...

Propogno di seguito le leggi dell'ordinamento italiano che si occupano di carenza di G6PD:

il divieto di coltivazione di fave entro un certo limite dai centri abitati tramite ordinanza del Comune di residenza, l'esenzione dal ticket sanitario da parte di un Centro Accreditato ( codice esenzione RDG010- Malattie Rare - Anemie Ereditarie - Favismo ), la certificazione di non-idoneità al servizio militare, che è stata comunque superata dal Decreto Parisi (vedi sotto)

Divieto coltivazione fave
Si può richiedere, ai sensi della corrente normativa ( Art. 13 legge 833 del 23.12.1978 ; Art. 54 D. Lgs. 267 del 18.08.2000 ), un'ordinanza comunale nella quale si afferma che nel raggio di 300 metri dall'abitazione del soggetto affetto da carenza dell'enzima glucosio 6 fosfato deidrogenasi è fatto divieto di coltivazione di fave, e che questo divieto non ha scadenza fino a quando il soggetto affetto non cambi abitazione e che entro 10 gg dall'affissione dell'ordinanza tutti i proprietari dei fondi eliminino del tutto i tipi di coltura specificati.

Chi non osserva questa ordinanza costituisce reato ai sensi dell'art. 650 del codice penale e se non rispettato si può chiedere l'intervento della Polizia Municipale, della ASL, e dei Carabinieri per far togliere immediatamente la coltivazione.

Nel caso sia la ASL a non volersi esprimere, o il Sindaco a non voler emettere l' ordinanza, ci si deve rivolgere alla Magistratura.

Vedi un esempio di ordinanza comunale di Latina
Vedi un esempio di ordinanza comunale di Chioggia


Legislazione sanitaria e Guida all'esenzione


Leggi Forze Armate:
Legge per Non idoneità militare (Decreto Presidente della Repubblica 02/09/1985 Num. 1008, Art. 3) (in Gazz. Uff., 21 aprile, n. 92)
Decreto Parisi per l'assunzione dei volontari affetti da deficit di G6PD (Favismo): Il nuovo Decreto del Ministero della Difesa (30.8.2007).

Cliccando sul link sottostante potrete prendere visione dei testi legislativi e delle ordinanze comunali:

http://www.g6pd.org/favism/italiano...c?pgid=leggi
maurizio feo Inserito il - 02/10/2011 : 09:41:20
Faccio una digressione - che presumo non ti darà troppo fastidio - visto che qualche O.T. è già stato fatto...
In Sardegna, sembrano essere avvenuti fenomeni simili a quelli che sono stati doviziosamente provati altrove: L’estrazione del rame dal minerale grezzo richiedeva circa 300 chili di carbone per produrre un chilo di rame da 30 chili di vena di solfuro di rame. Per una tonnellata di carbone di legna servono 12 – 20 metri cubi di legna.
L’uso del legno come combustibile fu enormemente incrementato, a livelli tali che la vasta regione medio orientale non poteva sostenere in alcun modo. Persino gli anelli d’accrescimento dei travi di ginepro da Katal Huyuk dimostrano che anche lì la crescita delle piante arboree era lentissima per la scarsità d’acqua durante tutto l’anno. Le città della zona, che nascevano e crescevano in numero, erano costrette a costruire grandi cisterne, necessarie per la stagione più secca; richiedevano la disponibilità di vari materiali a tenuta idraulica, come anche di mattoni, ceramiche d’uso comune, coperture degli edifici. La produzione di tutte queste strutture consumava altro combustibile.

L’Egitto, virtualmente privo d’alberi, ricorreva al Libano (Byblos) per il legno di cedro, per la costruzione di templi, per le spedizioni navali commerciali e per il mobilio. Un accenno alla deforestazione si rinviene persino nel romanzo Accadico-Sumerico Gilgamesh, nel punto in cui l’eroe, aiutato da Enkidu, abbatte la Foresta di Cedri, in seguito uccidendo il suo guardiano mostruoso Humbaba. Non è certo che le successive disavventure del protagonista siano messe in rapporto con questa colpa (cioè che il rimaneggiamento Accadico costituisca già una specie di giudizio morale dell’opera su un’attività deprecabile e dannosa dell’uomo): ma sappiamo che egli perde il proprio migliore amico e si vede sfuggire persino la possibilità di essere immortale e di regalare l’immortalità agli esseri umani, liberandoli dalle tristezze del decadimento fisico. Sappiamo bene, oggi, che la terra dei Sumeri, come tutta la “mezzaluna fertile”, una volta deforestata, è stata esposta a gravissima erosione da parte delle brevi piogge torrenziali e non ha più visto ricrescere la foresta primitiva.

Si calcola che l’abbattimento intensivo d’alberi nel Medio Oriente sia iniziato nel 1200 a.C., ma probabilmente tale data va alzata per le regioni più asciutte ancora più ad Est. Il Codice di Hammurabi (1750 a.C.) commina la pena di morte per l’abbattimento non autorizzato di alberi. Il problema, quindi, era già sentito allora: doveva anche essere peggiore nelle regioni ad intenso sfruttamento, come ad esempio l’Anatolia, dove l’estrazione con il fuoco, la fusione e la forgiatura erano già vecchie di 3000 anni!
Non tutti avevano la “coscienza civile” e l’attenzione di Hammurabi. Molto più tardi, Eratostene, scrivendo a proposito di Cipro nella tarda età del bronzo (1200) afferma che, malgrado la grande attività di deforestazione, nell’isola sono stati aperti appena dei sentieri, tanto essa è riccamente coperta di alberi. Gli agricoltori erano anzi incoraggiati, con premi in terre, a rendere agibili all’agricoltura nuove superfici di bosco.

L’età del bronzo, con il moltiplicarsi di strumenti (documentato archeologicamente) sempre migliori per l’abbattimento d’alberi e con l’incremento della richiesta di combustibile necessario per l’aumentata produzione mineraria, può anche essere vista come un’onda inesorabile di distruzione delle foreste e del legname, che si dirige verso Occidente. Nell’800 (uso estensivo ornamentale; introduzione delle coperture in coppo) e nel 500 (nascita delle civiltà “classiche”), tutte le foreste intorno al mediterraneo sono in stato d’agonia.
Si calcola che le miniere di Laurion presso Atene, in 300 anni circa abbiano prodotto 3500 tonnellate d’argento ed 1.4 milioni di tonnellate di piombo. A fronte di questa produzione, si calcolano avvenuti un consumo di 1 milione di tonnellate di carbone e la deforestazione di 101.170 chilometri di bosco. Anzi, si ritiene possibile che l’attività estrattiva sia terminata non per esaurimento delle vene, non per raggiungimento del livello dell’acqua, bensì per l’elevatissimo costo raggiunto dal combustibile.
Platone scrive che “Resta un relitto dell’antica campagna… è come uno scheletro, di un corpo emaciato dalla malattia. Tutto il suolo ricco è scivolato via, lasciando una terra di pelle ed ossa. Le montagne dell’Attica erano coperte di boschi. Ottimi alberi producevano legame perfetto per i tetti delle abitazioni: quei tetti sono ancora in uso”.
Il legno per la flotta Ateniese che avrebbe sconfitto i Persiani a Salamina, nel 480 a.C., dovette essere importato dai Balcani e dall’Italia meridionale.
Ancora il legname fu un bene strategico vitale nella guerra del Peloponneso tra Sparta ed Atene: gli spartani conquistarono le città commerciali ateniesi delle coste Macedoni (tagliando l’apporto di oro e di legname ad Atene); Atene fallì nell’impresa consigliata da Alcibiade di conquistare le riserve di legname della Sicilia. Atene fu quindi sconfitta.

L’isola d’Elba era anticamente chiamata in Greco Aethaleia, l’isola fumosa, per via del fumo dei forni estrattivi. Già i Romani dovevano spedire il minerale sulle coste toscane di Populonia, per mancanza di legno isolano.

Si è stimato dalle tracce archeologiche, che nelle miniere di bronzo di Mitterberg presso Salisburgo in Austria, 180 minatori circa producessero 20 tonnellate di rame l’anno, richiedendo l’abbattimento di 7,8 ettari di bosco ogni anno. Alle necessità puramente estrattive andrebbe aggiunto poi il legname per assicurare le gallerie, quello per i forni fusori, quello necessario agli agricoltori che nutrivano tutto il villaggio minerario. Anche con un ritmo naturale di rigenerazione piuttosto elevato del bosco, questo tipo di “raccolto” può essere sostenuto da una superficie boschiva di non meno di 518 ettari.

La Sardegna – oltre al suo precedente commercio in ossidiana di Monte Arci e di selce dell’Anglona – possiede una tradizione metallurgica che data dal IV millennio. Le vene metallifere sfruttate in epoche storiche (rame, galena argentifera etc.) si trovano sparse dal sud ovest, al centro al nord dell’isola: nell’Iglesiente (es.: Monte Rosas), nella Barbagia (Funtana Raminosa) e presso Alghero (Calabona).
Esistono numerose prove dell’uso di piombo per riparare manufatti ceramici e per fissare i bronzetti alle basi di pietra. In varie località sono stati rinvenuti materiali compatibili con attività di scavo, di estrazione, di fusione, di veicolazione e stampo dei metalli, con tracce di metallo in frammenti di terracotta . Sempre in Sardegna, fino a 3000 anni dopo l’età del bronzo, i pisani del 1300 ci hanno lasciato testimonianze (materiale combusto nelle gallerie di San Giovanni) dei metodi di scavo: si accendeva un grande fuoco, che rendeva incandescente la parete di roccia; quindi la si raffreddava con secchiate d’acqua, in modo che lo shock termico la rendesse più facilmente aggredibile dai picconi.

È facilmente comprensibile che tutte queste attività sarde richiedenti legno, abbiano prodotto, col tempo, una drastica riduzione delle superfici boschive ed un enorme aumento dei costi di produzione. A livello delle Alpi, con una densità minore di popolazione, il problema sarà stato di minore entità. Le isole e le coste del mediterraneo, per via del clima e dell’ambiente tipico della regione – una lunga stagione secca, piogge torrenziali su pendii privati d’alberi – ha determinato la scomparsa dei boschi e l’erosione dello strato di terreno fertile. I virgulti non riescono ad attecchire naturalmente nel suolo arido dilavato, talvolta neanche con l’aiuto della piantumazione assistita dall’uomo.

Nell’isola di Cipro, le scorie tuttora presenti depongono per una produzione di circa 200.000 tonnellate di rame e questa produzione – si calcola – avrà chiesto il sacrificio di 200 milioni di alberi di pino, il che equivale a circa 16 volte la superficie totale dell’isola . Ci si sente autorizzati a credere che l’aspetto globale dell’isola sarda fosse probabilmente molto più dolce e curvilineo, più verde e boscoso e con molto meno numerose asperità dovute a picchi rocciosi, oggi creduti scoperti da sempre.
Nessuno ha mai fatto il conto del volume di terra isolana che è andato perso in mare in qualche millennio, con questi complessi ma cronici procedimenti: ma basta guardare i calanchi che si formano dopo un solo grosso fortunale ed i fiumi di fango lunghissimi che macchiano l'acqua di mare, per rendersi conto del fatto che anche un singolo episodio "ruba" moltissimo suolo. Sicuramente, quindi, l'innalzamento della linea di costa per interramento erosivo di alcune zone costiere e di alcuni approdi naturali, con il successivo formarsi di zone palustri salmastre o semi salmastre malariche è da imputarsi anche a ciò.

Credo, insomma, che la trasformazione malarica sarda sia imputabile all'uomo per due motivi:
1) perché ce la portò - forse - essendone infetto, in uno degli sbarchi e
2) perché trasformò l'ambiente (prima molto più sano) in un ottimo ambiente ricettivo per la zanzara.
jomaru Inserito il - 01/10/2011 : 16:41:38
Cenni Storici sulla Malaria in Sardegna

Le origini della Malaria in Sardegna si perdono nella notte dei tempi, probabilmente fu introdotta con l'arrivo dei Protosardi e divenne endemica all'epoca dei Fenici e dei Cartaginesi. Con la conquista da parte dei Romani assunse le caratteristiche di una vera e propria epidemia, ma la diffusione continuò in tutta l'isola fino al Medio Evo per proseguire poi fino al XX secolo.

Negli anni 1920 / 1939 la Sardegna era la regione d'Italia più colpita dalla malaria.

1936/ 1938
morbilità: 36.655 casi, con un tasso di 349,57
su 10.000 abitanti
mortalità: 221 casi, con un tasso di 2,11
su 10.000 abitanti

I dati del 1941 del Ministero dell'Interno indicano ancora il tasso più alto di Malaria in Sardegna, con la provincia di Nuoro: 383,12 casi su 10.000 abitanti.

Durante la seconda guerra mondiale la Malaria aumentò sensibilmente in tutta l'Italia a causa della disgregazione dei servizi sanitari e della distruzione degli impianti di drenaggio in seguito a operazioni militari; ciò portò ad un aggravarsi della situazione in varie regioni, ad esempio nel Lazio, nelle Paludi Pontine e nell'Agro Romano; ma ritornò sotto controllo nel 1946 con l'uso del DDT.

La Sardegna tuttavia deteneva ancora il triste primato nazionale: la popolazione dell'isola rappresentava circa il 2,7% di quella nazionale e si registrava il 20% del numero totale dei casi di Malaria.

La Lotta Antianofelica in Sardegna 1946 - 1950

L'Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna
(ERLAAS ) fu istituito il 12 aprile 1946, come ente speciale dell'Alto Commissariato Italiano per l'Igiene e la Sanità, per la realizzazione della lotta antianofelica in Sardegna.

Il progetto era finanziato da:

UNRRA ( United Nations Relief and Rehabilitation Administration)

ECA ( Economic Cooperation Administration )

Rockfeller Foundation

La Fondazione Rockfeller contribuì al progetto, che ebbe inizio il 13 maggio 1946, anche con la direzione tecnica dello stesso, attraverso la propria International Health Division; l'attività continuò fino alla fine del 1950.

Nel 1943 i Tedeschi, prima di abbandonare la Sardegna, ne allagarono deliberatamente alcune zone determinando in questo modo una grave recrudescenza dell'epidemia malarica. La allarmante progressione della malattia era resa ulteriormente precaria dall'assenza di trasporti pubblici accettabili e dunque dalla estrema penuria di rifornimenti di vario genere. Inoltre i tentativi di bonifica di alcuni territori erano stati interrotti durante il conflitto.

Con l'arrivo delle truppe alleate cominciò l'uso del DDT, nuovissimo prodotto utilizzato in vicinanza degli accampamenti militari, per il controllo della malaria e come profilattico di routine contro gli insetti in genere. Notevoli successi erano stati ottenuti con il suo uso in altre parti d'Italia ( Napoli, foce del Tevere ). Nel tentativo di controllare la malaria a livello nazionale, venne proposto un programma sperimentale, con la collaborazione dell'Istituto Superiore di Sanità e nel quale fu coinvolta anche la fondazione Rockfeller, di eradicazione delle anofeline, e per questa sperimentazione venne scelta la Sardegna.

L'isola era da sempre la regione più malarica d'Italia e proprio per questo era una delle zone più note del Mediterraneo, ma nonostante ciò non si avevano fino ad allora informazioni sufficienti sul vettore della malattia.

In Sardegna, nel 1946 vennero condotte varie indagini che dimostrarono la presenza di diverse specie di Anopheles, e in particolare della specie Anopheles Labranchiae presente non solo in habitat soleggiati ma anche in zone paludose.

Vista la gravità del problema, venne organizzato un programma antilarvale con lo scopo di eliminare le larve della zanzara anofele, responsabile della diffusione della Malaria in Sardegna.

RISULTATI
Dopo un impegno assai notevole, durato circa 5 anni e costato svariati milioni di dollari, la Malaria come malattia sociale fu eliminata dall'isola e, per la prima volta a memoria d'uomo, fu possibile vivere e lavorare ovunque.

Per la popolazione sarda questo risultato rappresenta indubbiamente uno degli eventi più significativi della sua storia, la vasta azione di bonifica ha reso disponibili grandi aree di terreni coltivabili e, inoltre, è stata messa in luce l'entità delle risorse agricole, minerarie e naturali inutilizzate e potenzialmente preziose.

Allego infine il link di un servizio di Videolina su un convegno che ha messo a confronto esperti di vari atenei per fare il punto, a distanza di 60 anni, dall'eliminazione della Malaria. Evoluzione raccolta nel volume "Sardegna e Malaria" scritto da Ugo Carcassi insieme ad illustri studiosi ed edito da Delfino.

http://www.videolina.it/view/servizi/3157.html





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